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lunedì 23 aprile 2018

"Memorie di un conte calabrese": ipotetico manoscritto preparatorio del raro romanzo del 1872

di
Cesare De Rosis

Molto rammarico abbiamo espresso quando, recuperando l'opera edita di d. Ferdinando Guaglianone[1], mancava, oltre ad Un salmo in canzone[2], il romanzo Memorie di un conte calabrese[3]. Ebbene, tra i manoscritti inediti del nostro autore[4], ci è capitato di leggere, spinti dalla più viva curiosità, un racconto frammentario che non permette di tracciare quei confini che lo renderebbero completo e lineare. Il romanzo è citato da Ferdinando Cassiani nel volumetto Un intransigente[5], ovvero un singolare profilo dell’arciprete spezzanese.
Don Ferdinando Guaglianone
(1843 - 1927)
In seguito, sia Giovanni La Viola[6] che Alessandro Serra[7] ribadiscono questa informazione. Lo scritto a cui stiamo facendo riferimento è stato segnalato da Don Fiorenzo De Simone ad un convegno il 15 Dicembre 2017 e inventariato da chi scrive come Scritto senza incipit[8]. In seguito, ad un’attenta lettura, si può affermare solo con una sicurezza che lascia il giusto e prudente margine del dubbio, che si tratta del contributo di cui, da tempo, ne seguivamo le tracce. Nello scritto, che comprende 96 pagine, sono narrate le vicende del conte Engilberto che, dopo il matrimonio con una giovinetta di benestante famiglia napoletana di nome Clara, si stabilisce, con lei, nel castello di Terranova, costruito dai normanni attorno al XII secolo. E’ descritto con dovizie di particolari, il corteo nuziale che, venendo da Castrovillari, passa da Spezzano Albanese e giunge, infine, a Terranova dove era atteso “da vispi fanciulli, allegri giovinetti e uomini e donne di ogni età che si assieparono fino al Convento dei Minori Osservanti, il punto più alto del paese”.
Assieme alla coppia entrano in scena altri personaggi, come il padre dello sposo, la madre di Clara, Cipriano, amico del conte, il francese, Pietro “il fattorino”, fra Girolamo e Crezia, la domestica che avrà un ruolo importante nella storia, essendo venuta a conoscenza, udendo una conversazione degli interessati stessi, del passato oscuro e burrascoso di Engilberto, legato ad una vita dissoluta, scaturita probabilmente da una sbagliata educazione. Il frate, sebbene custodisca il segreto rivelato in confessione, tenterà di recuperare, sembrerebbe invano, attraverso delle piccole peripezie, l’anima dell’errante, sicuro che il tempo della conversione è sempre propizio per sperimentare l’infinita misericordia di Dio.
In Europa si erano già diffuse le idee della narrativa francese naturalista e in Italia i romanzi veristi e, forse per questo, Ferdinando Cassiani, sebbene stimasse Guaglianone, ritiene il testo in questione un “mediocre romanzo alla vecchia maniera”.


[1] F. Guaglianone (1843-1927), dopo la formazione di base a Rossano, viene inviato a Napoli dove perfeziona gli studi in Teologia. Versatissimo per le arti umanistiche, fu poeta, scrittore ed educatore. Nel 1887 diventa Rettore del Seminario di Rossano e, infine, Arciprete di Spezzano Albanese dal 1901 fino alla morte. Tra le sue opere maggiori si ricordano: Il Mese di Maria, 1885; Cari e Mesti ricordi, 1890; Poesie, 1874; S. Rosalia. Leggenda poetica, 1878. Cfr. C. De Rosis, «Don Ferdinando Guaglianone, poeta da riscoprire» in Diritto di Cronaca  4 Dicembre 2017.
[2] Un salmo in canzone del Sac. Ferdinando Guaglianone da Spezzano Albanese. Napoli, tip. di Stanislao de' Leila, via Pignatelli S. Giovanni Maggiore A*0 34, 1871. Queste dettagliate notizie ce le fornisce “La Civiltà Cattolica”.
[3] F. Guaglianone, Memorie di un conte calabrese, Tipi di Orlando di Nocera, Napoli 1872.
[4] C. De Rosis, «Un convegno apre le porte alla ricerca e allo studio di don Guaglianone», in Diritto di Cronaca  23 Gennaio 2018; Id., Tracce bio- bibliografiche di Don Ferdinando Guaglianone jr (1843 -1927), s.e., San Benedetto Ullano 2017.
Id., «Don Ferdinando Guaglianone (1843-1927), Vita e Opere» in Ferdinando Guaglianone, Umanista – 90°, Edizioni Bashkim, Spezzano A., pp. 7- 14.
[5] F. Cassiani, Un intransigente, Castrovillari, 1928, p. 6.
[6] G. Laviola, Dizionario bibliografico degli Italo - Albanesi, Edizioni Brenner, Cosenza 2006.
[7] A. Serra, Spezzano Albanese nelle vicende storiche sue e dell'Italia, 1470-1945, Edizioni Trimograf, Spezzano Albanese 1987.
[8] C. De Rosis, «Don Ferdinando Guaglianone (1843-1927), Vita e Opere» in Ferdinando Guaglianone, Umanista - 90°, p. 12.

(Pubblicato su Katundi Ynë)
Ringrazio l'amico dott. Mario Gaudio per aver voluto pubblicare questo contributo sulla presente rivista.



sabato 10 marzo 2018

Guaglianone e Tomassi - Testi a confronto

di
Cesare De Rosis

"Il colera nel settembre 1884 colpisce Napoli in maniera virulenta e si diffonde facilmente a causa delle precarie condizioni dei quartieri popolari. In meno di due settimane si contano migliaia di morti. La popolazione crea tumulti e invoca soccorsi". Questo emerge dalle cronache di quegli anni nella città partenopea dove risiedono anche letterati ed uomini di cultura che raccontano l'evento in prosa e in versi.
L'opera di padre Innocenzo
Tomassi
 Il colera del 1884 a Napoli nei "ricordi" del frate francescano Innocenzo Tomassi è un opuscolo che racconta minuziosamente l'evento triste e doloroso e trova riscontro con un'opera poco conosciuta di don Ferdinando Guaglianone che a Napoli svolgeva in quegli anni attività di precettore e di giornalista presso importanti riviste di apologetica cristiana. Il testo, contenuto in una miscellanea poliglotta si intitola 12 Settembre 1884. Il Colera in Napoli ed è costituito da sei lunghe strofe. Entrambi questi autori erano vicini alla Civiltà Cattolica, la preziosa rivista dei Gesuiti fondata da p. Carlo Maria Curci.
"12 settembre 1884. Il colera in Napoli"
di Ferdinando Guaglianone
 Questi testi hanno un precedente come dimostrano Le Lettere storico - cliniche del colera nella Sezione Vicaria dirette al Cav. Giuseppe Biondi Professore di Medicina dal Dott. Giuseppe Ria, un'opera del 1866 con resoconto di un'esperienza sul campo, ma sono anche il documento di un linguaggio 'tecnico' che spesso fa ricorso alle risorse della letteratura. 

sabato 20 gennaio 2018

La castità come trasgressione

di 
Valeria Alescio

“Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5,8).
Da questo passo del Vangelo prende spunto un’iniziativa che sostiene i ragazzi che hanno deciso di arrivare in castità al matrimonio, promessa che viene rinnovata ogni anno.
“Cuori Puri” ha sede in ogni parrocchia d’Italia in quanto non è un movimento ma, appunto, un’iniziativa.
Le conversioni avvengono ancora oggi. Ania Goledzinowska, dopo un pellegrinaggio a Medjugorje, abbandona le passerelle di alta moda, la vita di lusso e lussuria, smette di fare la top model, riesce a liberarsi dalle ferite passate, e sceglie una vita di castità e preghiera, fondando, con la collaborazione di padre Renzo Gobbi, questa nuova iniziativa esattamente il 25 giugno 2011. Oggi gli iscritti sono già qualche migliaio, anche se, nella società odierna, giovani che fanno questa scelta vengono considerati “mosche bianche”.
Gesù deve essere considerato, in qualche modo, nella vita di noi giovani, come il “navigatore” della macchina. Di fatto, cosa fa il navigatore quando si sbaglia strada, quando ci si perde? Ricalcola il percorso e riporta sempre a casa!.
La stessa scelta di purezza e castità è stata fatta dall’attore Eduardo Verastegni il quale dice che la castità prematrimoniale comunica al nostro futuro partner: “Guarda da quanti anni ti ho aspettato, sono stato fedele a te ancora prima di conoscerti”.

La castità vista come una “scelta”, non come un “ordine”, una regola bella, affascinante, ma al contempo difficile da seguire, però al termine gratificante.
Noi giovani dobbiamo tenere a mente che, la trasgressione più grande, oggi, è quella di non concederci, di andare controcorrente e di non conformarci.
È comprendere che “Il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo” proprio come dice San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi.
Infatti Papa Giovanni Paolo II afferma: “Per l’amore il corpo non è che un tramite”, cioè l’amore che abbiamo dentro lo trasmettiamo attraverso il nostro corpo, quindi in questo caso donandoci nella totalità.
Dunque “Non conformatevi alla mentalità di questo mondo” a questo ci esorta San Paolo perciò dobbiamo sforzarci di vivere santamente. L’apostolo ci sollecita ad assumere un comportamento di radicale anticonformismo, siamo chiamati ad andare controcorrente, soprattutto noi giovani essere trasgressivi vivendo ed assumendo atteggiamenti che questo mondo non concepisce, primi fra tutti la castità, scelta positiva di vivere la sessualità secondo il progetto d’amore di Dio.
(Pubblicato su insiemeragusa.it)

venerdì 12 gennaio 2018

"Io prima di te" un film che è un inno alla vita

di 
Valeria Alescio

Il valore della vita lo comprendi quando non ti è permesso di vivere una vita “normale”!
È questo che accade, per uno scherzo del destino, a William Traino protagonista del film “Io prima di te”, insieme a Louisa Clark; tratto dall’omonimo romanzo di Jojo Moyes, il quale ha riscosso un grosso successo richiamando l’attenzione di moltissimi giovani.
William è tetraplegico a causa di un incidente stradale che lo ha costretto su una sedia a rotelle.
La drammaticità della storia è rilevante ma al contempo il film è sia ironico che romantico grazie alla bravura degli attori e alla scelta dell’intreccio della trama che tratta la tematica dell’eutanasia, del suicidio assistito e del testamento biologico.
Per noi cattolici, soprattutto noi giovani, è doveroso avere un pensiero critico ed una visione chiara su queste tematiche così importanti e toccanti.
Secondo la visione di questo film è l’uomo ad auto-attribuirsi il titolo di “padrone assoluto della propria vita”, anziché esserne un semplice amministratore.
Ci domandiamo se: il malato può essere libero al 100 per cento di scegliere la strada della morte, quindi l’uomo come giudice supremo, oppure è Dio che decide sulla nostra vita? 
Locandina del film Io prima di te
(Regia di Thea Sharrock, 2016)

Proprio San Giovanni Paolo II, a tal proposito, parla di “cultura di morte”, ossia non più una morte determinata da leggi naturali ma una morte come accadimento programmato dell’uomo.
Solitamente uno dei motivi di queste scelte è il ritenersi un “peso” sia per l’interessato sia per chi se ne prende cura. Nel caso di specie le parole del protagonista sono: “Mi limito ad esistere!”, dunque l’eutanasia porrebbe termine ad un’esistenza priva di valore e di senso e sembrerebbe la soluzione più ragionevole.
Ci sono molte associazioni di aiuto al suicidio in Svizzera, proprio lì il suicidio assistito è legale dal 1942, nel corso degli anni si è creato un vero e proprio flusso di italiani decisi a porre fine alla sofferenza.
Anche se le statistiche parlano di un 40 per cento di persone che cambiano idea all’ultimo momento grazie al supporto dato dal medico incaricato. In proposito la Congregazione per la Dottrina della fede dice che le suppliche dei malati molto gravi che talvolta invocano la morte, non devono essere intese come espressione di una vera volontà di eutanasia, esse sono richieste angosciate di aiuto, di amore e di affetto.
“Amore”, cosa che aveva trovato il nostro protagonista. Un film che, nonostante tutto, è un vero e proprio “inno alla vita” invitandoci a non accontentarci mai, a vivere con audacia, a sfidare e a “mordere” la vita in tutta la sua essenza!
(Pubblicato su insiemeragusa.it)

domenica 24 dicembre 2017

Don Ferdinando Guaglianone jr Rettore del seminario di Rossano (1887-1901)

di
Cesare De Rosis

Correva l'anno 1887 quando, nel pieno della sua attività letteraria a Napoli e dintorni  con La Civiltà Cattolica e altre prestigiose riviste dell'epoca, don Ferdinando Guaglianone jr, veniva chiamato dall'arcivescovo di Rossano quale Rettore del Seminario. Di formazione gesuita, ma prete diocesano, lo spezzanese don Ferdinando (n.1843 – m.1927), fu insigne formatore di una cospicua generazione di sacerdoti.
Don Ferdinando Guaglianone
(1843-1927)
A 23 anni, il 17 giugno 1866,  diventa sacerdote, interessandosi ed approfondendo subito i diversi ambiti della Teologia e della letteratura.
Seguì le norme di papa Leone XIII che incoraggiava nei seminari italiani il ritorno al tomismo, ma fu educatore solerte ed attento alle novità in campo pedagogico come dimostra la sua adesione al modello di Wolfgang  Ratke. La sua attività di rinomato predicatore spinse mons. Orazio Mazzella a nominarlo arciprete di Spezzano dopo la morte del fratello don Giuseppe Guaglianone avvenuta il 21 settembre 1901.

(Pubblicato su Camminare Insieme)

martedì 24 ottobre 2017

L'educata ironia di Giulio Andreotti

di
Mario Gaudio

Nel 1980 Giulio Andreotti, chiamato a pronunciare un discorso celebrativo per il centesimo compleanno dell’arcivescovo Alfonso Carinci, esordì con una famosa citazione di Menandro («Muor giovane colui ch’al cielo è caro») suscitando l’ilarità generale e mostrando quel sottile e invidiato senso di educata ironia che da sempre accompagnava i suoi interventi pubblici e privati.
Questo è soltanto uno degli innumerevoli esempi di uno stile espressivo che divenne, col passare degli anni, una vera e propria weltanschauung, indizio di una mente raffinata e colta capace di applicare con naturalezza e cognizione di causa l’antico adagio latino «castigat ridendo mores».
Giulio Andreotti (1919 - 2013)
Il potere logora…ma è meglio non perderlo è un’antologia delle migliori considerazioni ironiche dello statista romano che, gloria e vanto della politica nazionale, ricoprì per ben sette volte la carica di Presidente del Consiglio e per ventisette quella di ministro della Repubblica.
Al di là della brillante e prolifica carriera istituzionale, traspare dalle pagine andreottiane l’inconfondibile cultore di Cicerone a cui si affianca lo zelo dell’appassionato amante della tradizione letteraria classica.
Ogni citazione riportata ne Il potere logora…ma è meglio non perderlo gronda di esperienze di vita privata che si mescolano con le vicende politiche, le tendenze sociali e i gusti culturali del Novecento sino a diventare un elemento unico facilmente identificabile con la Storia stessa.
L’antologia ha di per sé il grande limite strutturale di riportare soltanto una minima porzione degli innumerevoli aforismi andreottiani e ciò impedisce al lettore di avere una visione globale dell’argomento, tuttavia il valore dell’opera consiste nel fatto che, attraverso le sue pagine, si ripercorrono situazioni e momenti importanti della politica italiana e della cronaca, con sferzanti considerazioni su vizi nazionali ancora non debellati: nei confronti dei tanto diffusi evasori fiscali Andreotti chiosava: «L’umiltà è una virtù stupenda. Ma non quando si esercita nella dichiarazione dei redditi»; mentre per i nuovi ricchi lo statista riservava una considerazione al vetriolo: «Vi è un genere pericoloso di numismatici: il collezionista di moneta corrente».
Il potere logora...
ma è meglio non perderlo

di Giulio Andreotti
Non mancano argute riflessioni sulla giustizia («Perché la stupenda frase “La Giustizia è uguale per tutti” è scritta alle spalle dei magistrati?»), sull’antifascismo d’occasione («L’antifascismo è come i vini. Bisogna guardare all’annata»), sugli eterni problemi della Capitale («Non attribuiamo i guai di Roma all’eccesso di popolazione. Quando i romani erano solo due, uno uccise l’altro») e sui cosiddetti «vizi minori» («Annoiato dagli ammonimenti contro l’uso del tabacco un padre rosminiano irlandese ha detto al suo superiore: “Meglio fumare su questa terra che dopo”»).
Insomma, Il potere logora…ma è meglio non perderlo è un libro da leggere, scorrevole e divertente, in grado di offrire sprazzi di luce su anni di storia e costumi d’Italia con un approfondimento sulla ancor poco studiata biografia di Giulio Andreotti che, al netto dei meriti politici, fu una miniera di aneddoti, un appassionato di cultura e un maestro indiscutibile di savoir-faire.

(Pubblicato su dirittodicronaca.it, Registrazione Tribunale di Castrovillari (Cs) N. 4/09 del 02/11/2009)

venerdì 13 ottobre 2017

"Adesso": l'amore contraffatto di Chiara Gamberale

di
Mario Gaudio

Adesso è un romanzo problematico, specchio fedele di una nuova concezione della letteratura e dell’amore che si va facendo strada nella società tecnocratica e globalizzata in cui siamo immersi.
Chi si aspetta un buon testo letterario, magari colmo di richiami alla gloriosa tradizione dei più importanti scrittori italiani, farebbe bene ad astenersi dalla lettura delle pagine di Chiara Gamberale, ma se si vuole intraprendere un percorso – accidentato – tra i meandri di una scrittura anarchica e, talvolta, presuntuosa e ripetitiva il testo dell’autrice romana diventa un passaggio quasi inevitabile.
La narrazione procede infatti in maniera confusionaria, con riprese e abbandoni di immagini e situazioni secondarie che ruotano attorno all’asse portante della vicenda amorosa di Lidia e Pietro. A questo andamento vorticoso occorre aggiungere anche una fretta di fondo che, unita ad uno spropositato affidamento al caso e agli eventi, connota non solo i protagonisti di Adesso, ma anche i vari – a tratti pittoreschi – personaggi marginali.
La logica del romanzo invita a consumare ogni opportunità della vita nell’ambito dell’«adesso», un aspetto questo che se da un lato richiama – sebbene solo superficialmente − il carpe diem oraziano dall’altro frantuma quella necessità di riflettere che, di fatto, sembra essersi dissolta nella società del consumo e della velocità. Tuttavia, la Gamberale presenta il grande limite della vaghezza: si prodiga a consigliare di vivere l’attimo senza definire il concetto di «adesso» che viene genericamente circoscritto come il tempo «fra l’infanzia e il troppo tardi».
Adesso di Chiara Gamberale
Il tema dominante è chiaramente l’amore ma, anche in questo caso, è opportuno rimarcare un netto stravolgimento nei confronti della tradizione classica e, addirittura, rispetto al canone moderno. Il sentimento raccontato dall’autrice è profondamente degradato e spogliato da qualsiasi connotazione ideale, per divenire una sorta di meccanico sfogo dopo vicende andate a male: Lidia esce da una separazione, ma intrattiene un rapporto ambiguo con l’ex marito, mentre Pietro vive il dramma di una moglie che lo ha abbandonato per seguire la vita religiosa. A ciò sono accostate le diverse debolezze psicologiche accumulate dai personaggi e, sostanzialmente, mai risolte.
Alla vicenda principale si accompagna anche una sorta di sottobosco narrativo che racchiude piccole relazioni sentimentali − di natura adulterina o comunque occasionale − che conducono ad un intreccio forzato e artificiale di personaggi dalla mentalità diversa e dal comportamento estremamente eterogeneo.
Adesso è un romanzo contraffatto, a tratti non piacevole, dalla prosa sciatta e irregolare ma, sicuramente, degno di essere letto per comprendere adeguatamente la nefasta involuzione in cui sono precipitati il più bello dei sentimenti e la produzione letteraria dei nostri giorni.
(Pubblicato su dirittodicronaca.it, Registrazione Tribunale di Castrovillari (Cs) N. 4/09 del 02/11/2009)