Appunti storico – artistici con particolare riferimento al
tema della Crocifissione
a cura di
Cesare De Rosis
Cristo Crocifisso
Cosa si può dire di nuovo in merito all’iconografia della
Crocifissione? Molto poco o nulla. Monumentali studi sono stati condotti in
ogni tempo e in ogni luogo da autori ora più ora meno ricercati. Ogni città,
ogni borgo con le sue cattedrali, basiliche, chiese, santuari annovera almeno
un crocifisso nel proprio inventario.
L’entrata nell’arte del crocifisso si può fare risalire al
IV secolo, con l’apparire delle prime croci formate da una trave verticale e
un’altra orizzontale, detta “patibulum”, senza la figura del Cristo.
L’iconografia della croce ebbe, tuttavia, una rapida evoluzione tra la fine del
IV e l’inizio del V secolo, come è possibile riscontrare nell’abside di S.
Stefano Rotondo a Roma, dove comincia a comparire il Cristo posto sopra una
croce gemmata, anche se non ancora crocifisso.
A partire dal V secolo la croce con il Cristo comincia a
rappresentare il simbolo per antonomasia della religione cristiana ed inizia ad
occupare un posto preminente nella produzione dell’arte sacra. La figura del
Cristo prende il posto dei diversi simboli con cui era stato concepito
nell’antichità, quali la colomba, il pesce o l’Agnello, il più privilegiato
presso tutti i popoli del Mediterraneo, come segno dell’innocenza e della
purezza e per indicare Cristo come vittima sacrificale per eccellenza.
Nel XII secolo cominciarono ad apparire le prime croci
dipinte direttamente su legno da appendere all’arco trionfale delle Chiese. Con
questa innovazione si tornava anche alle immagini del “Christus
Triumphans”, con il Cristo posto in posizione frontale, con la testa eretta e
gli occhi aperti nel trionfo della morte.
L’interesse veristico viene in primo piano, dopo il 1250, ma
portando con sé un impoverimento del messaggio teologico.
E’ sintomatico in questo senso il fatto che, dal finire del
‘200, il Cristo sia sempre rappresentato morto, al contrario di quanto era
avvenuto sino ad allora, quando il Cristo sulla croce era raffigurato vivo, con
gli occhi aperti.
Le raffigurazioni precedenti operavano la loro scelta non
per attenuare il realismo del dolore, ma per annunziare già la realtà della
vittoria sulla morte.
Di significato analogo è la scomparsa della raffigurazione
del Risorto dalle croci. Essa era presente o nella cimasa delle croci, oppure
nel gioco del recto/verso dei crocefissi che rappresentavano da un lato il
Cristo sofferente e dall’altro il Risorto o il Cristo in gloria.
Dal XIII al XIV secolo si rientra nella raffigurazione del
Cristo sofferente, con la testa reclinata sulle spalle, gli occhi chiusi e il
corpo incurvato nello spasmo del dolore. Ritorna il “Christus Patiens” con
l’esaltazione drammatica del Cristo morente.
Con l’inizio del XV secolo all’arte della tavola lignea
dipinta subentrò quella del crocifisso scolpito direttamente sul legno. Anche
le forme ieratiche e stilizzate delle croci dipinte si ricompongono e si
completano nella bellezza e nell’armonia delle forme classiche.
Per sommi capi queste note possono ritenersi esaustive.
Tuttavia è bene sintetizzare ulteriormente queste tappe storiche e completarle
con i riferimenti simbolici che l’iconografia della Crocifissione assume in
epoche più recenti.
Nell’età paleocristiana appare solo la croce gloriosa. L’Alto
medioevo sfoggia il crocifisso trionfante. Dopo il mille emerge il crocifisso della
passione. Con il sorgere del Rinascimento recuperiamo il Cristo uomo ideale. Di
lì a poco con la Controriforma, il Barocco ed oltre si alternano estasi e
pianto. Et dulcis in fundo nel Novecento o più propriamente nell’arte
contemporanea si vuol rappresentare la croce come dramma del mondo.
Una postilla merita la definizione “crocifisso trionfante”. Di
stampo bizantino sono le pale d’altare a forma di croce che vedono
protagonista, appunto, Cristo crocifisso; un Cristo che però ha gli occhi
sgranati, è sveglio: un Cristo che vince la morte perché Figlio di Dio, perché
il Salvatore dell’Umanità. Il Cristo Triumphans (Cristo Trionfante per
l’appunto), si presenta quindi fermo, privo di dolore o spasmi, vivo e sereno,
sorretto ad una croce che racconta in linea di massima tramite pannelli applicati
a ridosso del corpo e delle braccia di questa, momenti della vita di Gesù. Nei
secoli successivi, e precisamente nel Basso Medioevo, si registra un
cambiamento che si accentuerà sempre più fino al Concilio di Trento. Dal XIII
secolo in poi, il dolore che martirizza il suo corpo emerge nella resa del suo
incarnato, non più roseo, che diventa livido. Le braccia sono più tese e cedono
al peso del corpo flesso e abbandonato dalle forze. Il capo è reclinato, gli
occhi chiusi; Cristo è così rappresentato nel momento del trapasso e, pur nella
dignità del sacrificio, non è più trionfante, bensì dolente. Il mutato clima
culturale conduce alla rivalutazione dell’humanitas e per questo, a partire dal
tardo Duecento e lungo tutto il Trecento, una concezione più terrena
dell'esperienza mistica del fedele fa emergere una nuova visione del mondo
fisico e metafisico.
Nell’area più meridionale d’Italia, dove era preminente il
Cristo trionfante, un’opera fondamentale che si pone invece in questa
circolazione sul modello doloroso è la Stauroteca della cattedrale di Cosenza,
opera prodotta a Palermo nel XII secolo. La croce-stauroteca è stata attribuita dalla tradizione a
Federico II, perché ritenuta un dono del sovrano in occasione della
riconsacrazione della cattedrale di Cosenza nel 1222 (Santagata, 1974). In
realtà, è stata realizzata in età tardo-normanna nei laboratori regali
siciliani ed è plausibilmente entrata in possesso di Federico II assieme al
composito tesoro dei suoi predecessori (Dolcini, 1987 e 1995).
Un esemplare degno di nota si trova ad Acri. E’ del XIII
secolo. Il Cristo è raffigurato con gli occhi chiusi, cioè dopo il momento
della morte. Nel sec. XI comincia ad affermarsi la rappresentazione del Cristo
morto, probabilmente anche per influsso della teologia orientale, che voleva
rimuovere ogni residuo dell’eresia monofisita e sottolineare anche la natura
umana di Cristo.
Altra tipologia è la “Crocifissione con i dolenti in umiltà”
ovvero con la Vergine e san Giovanni seduti ai piedi della croce. Pare abbia
avuto origine nell’Italia centrale tra la fine del Duecento e gli inizi del
Trecento, per poi svilupparsi soprattutto in ambito senese e fiorentino nel
corso del secolo successivo attraverso la miniatura, l’oreficeria, la pittura e
il rilievo. Tra il XIV e XV secolo è attestata in diverse aree italiane.
In tutte le Chiese di Spezzano Albanese, eccetto il
Santuario, si può ammirare la statua del Crocifisso: ideata in cartapesta nella
Chiesa S. Maria di Costantinopoli e Santa Maria del Carmine, in legno nella
Chiesa dei Ss. Pietro e Paolo. Un esemplare magnifico in legno si conserva
nella Cappella funeraria della famiglia Longo presso il cimitero cittadino.
Allo stesso modo si conservano tre statue del Cristo risorto, di cui due in
gesso e uno in cartapesta, rispettivamente nelle due Chiese parrocchiali e in
Santa Maria di Costantinopoli.
Gesù Morto
La statua è racchiusa in una teca di vetro impreziosita da
cornice dorata. Sotto la statua e il sudario, il “materasso” di velluto rosso
reca la data del 1889. Prima che venisse commissionata questa statua veniva
utilizzata un’altra di dimensioni più ridotte e certamente più antica oggi
conservata nella Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli. Viene portato in
processione con l’Addolorata il Venerdì Santo.
La processione del Venerdì Santo si snoda alle ore venti accompagnata
dai canti tradizionali in lingua albanese di cui è parzialmente autore
l’arciprete Fronzini, il resto proviene dalla orale tradizione popolare, dai testi del letterato Giulio Variboba e di Francesco
Antonio Santori un sacerdote di Santa Caterina Albanese, in provincia di
Cosenza.
Il pio esercizio della Via Crucis, nelle settimane di
Quaresima, segue la struttura classica delle XIV stazioni. Il Venerdì viene
officiata nella Chiesa dei Ss. Pietro e Paolo mentre la Domenica nella Chiesa
di S. Maria del Carmine, dove si conservano stampe esemplari che narrano il
percorso di Gesù dal pretorio di Pilato al Calvario. I canti sono attribuiti
dalla tradizione a Pietro Metastasio. Le opinioni in merito sono, tuttavia,
discordanti tra loro.
Note
Giorgia Pollio, “Oreficeria Federiciana”, in Enciclopedia
Treccani , 2005.
Maria Pia Di Dario Guida, La stauroteca di Cosenza e
la cultura artistica dell’estremo sud nell’età normanno-sveva, Cava de’ Tirreni
1984.
Maria Pia Di Dario Guida, “Evoluzione di una tipologia
iconografica nell’Alto medioevo. Il Cristo crocifisso in Europa e nell’Oriente
mediterraneo”, in Alla ricerca dell’Arte perduta, Gangemi editore 2006.
Cosimo Lasorsa (a cura di), “L’iconografia della
Crocifissione”, in Il Vaticanese, 6 novembre 2012.
Andrea Lonardo, Nota sulla rappresentazione iconografia del
crocifisso ed il suo messaggio teologico ed ecclesiologico, s.d.
Antonio Dario Fiorini, La figura di Cristo nella Storia
dell'Arte tra iconografia e simbolismo, 9 aprile 2014.
Cesare De Rosis, “Acri: restituito al culto il Crocifisso
medievale”, rivista In Cammino, Anno XVI n. 4, Aprile 2014, p. 22.
Cesare De Rosis. Medioevo Aureo. La Stauroteca di Cosenza
nella produzione artistica della fase normanno – sveva (in corso di stampa)
Gianni Cioli, “La Crocifissione con i dolenti in umiltà. Appunti
per un’indagine teologica”, in Arte Cristiana, Anno CIII, 891, Novembre -
Dicembre 2015, pp. 433 – 442.
Ringrazio Mario Gaudio per aver permesso la pubblicazione di
questo articolo presso la sua rivista on line.