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sabato 27 febbraio 2016

PASSIONE E MORTE di N. S. GESU’ CRISTO

Appunti storico – artistici con particolare riferimento al tema della Crocifissione

a cura di 
Cesare De Rosis

Cristo Crocifisso
Cosa si può dire di nuovo in merito all’iconografia della Crocifissione? Molto poco o nulla. Monumentali studi sono stati condotti in ogni tempo e in ogni luogo da autori ora più ora meno ricercati. Ogni città, ogni borgo con le sue cattedrali, basiliche, chiese, santuari annovera almeno un crocifisso nel proprio inventario.
L’entrata nell’arte del crocifisso si può fare risalire al IV secolo, con l’apparire delle prime croci formate da una trave verticale e un’altra orizzontale, detta “patibulum”, senza la figura del Cristo. L’iconografia della croce ebbe, tuttavia, una rapida evoluzione tra la fine del IV e l’inizio del V secolo, come è possibile riscontrare nell’abside di S. Stefano Rotondo a Roma, dove comincia a comparire il Cristo posto sopra una croce gemmata, anche se non ancora crocifisso.

A partire dal V secolo la croce con il Cristo comincia a rappresentare il simbolo per antonomasia della religione cristiana ed inizia ad occupare un posto preminente nella produzione dell’arte sacra. La figura del Cristo prende il posto dei diversi simboli con cui era stato concepito nell’antichità, quali la colomba, il pesce o l’Agnello, il più privilegiato presso tutti i popoli del Mediterraneo, come segno dell’innocenza e della purezza e per indicare Cristo come vittima sacrificale per eccellenza.
Nel XII secolo cominciarono ad apparire le prime croci dipinte direttamente su legno da appendere all’arco trionfale delle Chiese. Con questa innovazione si tornava anche alle immagini del “Christus Triumphans”, con il Cristo posto in posizione frontale, con la testa eretta e gli occhi aperti nel trionfo della morte.
L’interesse veristico viene in primo piano, dopo il 1250, ma portando con sé un impoverimento del messaggio teologico.
E’ sintomatico in questo senso il fatto che, dal finire del ‘200, il Cristo sia sempre rappresentato morto, al contrario di quanto era avvenuto sino ad allora, quando il Cristo sulla croce era raffigurato vivo, con gli occhi aperti.
Le raffigurazioni precedenti operavano la loro scelta non per attenuare il realismo del dolore, ma per annunziare già la realtà della vittoria sulla morte.
Di significato analogo è la scomparsa della raffigurazione del Risorto dalle croci. Essa era presente o nella cimasa delle croci, oppure nel gioco del recto/verso dei crocefissi che rappresentavano da un lato il Cristo sofferente e dall’altro il Risorto o il Cristo in gloria.
Dal XIII al XIV secolo si rientra nella raffigurazione del Cristo sofferente, con la testa reclinata sulle spalle, gli occhi chiusi e il corpo incurvato nello spasmo del dolore. Ritorna il “Christus Patiens” con l’esaltazione drammatica del Cristo morente.
Con l’inizio del XV secolo all’arte della tavola lignea dipinta subentrò quella del crocifisso scolpito direttamente sul legno. Anche le forme ieratiche e stilizzate delle croci dipinte si ricompongono e si completano nella bellezza e nell’armonia delle forme classiche.
Per sommi capi queste note possono ritenersi esaustive. Tuttavia è bene sintetizzare ulteriormente queste tappe storiche e completarle con i riferimenti simbolici che l’iconografia della Crocifissione assume in epoche più recenti.
Nell’età paleocristiana appare solo la croce gloriosa. L’Alto medioevo sfoggia il crocifisso trionfante.  Dopo il mille emerge il crocifisso della passione. Con il sorgere del Rinascimento recuperiamo il Cristo uomo ideale. Di lì a poco con la Controriforma, il Barocco ed oltre si alternano estasi e pianto. Et dulcis in fundo nel Novecento o più propriamente nell’arte contemporanea si vuol rappresentare la croce come dramma del mondo.
Una postilla merita la definizione “crocifisso trionfante”. Di stampo bizantino sono le pale d’altare a forma di croce che vedono protagonista, appunto, Cristo crocifisso; un Cristo che però ha gli occhi sgranati, è sveglio: un Cristo che vince la morte perché Figlio di Dio, perché il Salvatore dell’Umanità. Il Cristo Triumphans (Cristo Trionfante per l’appunto), si presenta quindi fermo, privo di dolore o spasmi, vivo e sereno, sorretto ad una croce che racconta in linea di massima tramite pannelli applicati a ridosso del corpo e delle braccia di questa, momenti della vita di Gesù. Nei secoli successivi, e precisamente nel Basso Medioevo, si registra un cambiamento che si accentuerà sempre più fino al Concilio di Trento. Dal XIII secolo in poi, il dolore che martirizza il suo corpo emerge nella resa del suo incarnato, non più roseo, che diventa livido. Le braccia sono più tese e cedono al peso del corpo flesso e abbandonato dalle forze. Il capo è reclinato, gli occhi chiusi; Cristo è così rappresentato nel momento del trapasso e, pur nella dignità del sacrificio, non è più trionfante, bensì dolente. Il mutato clima culturale conduce alla rivalutazione dell’humanitas e per questo, a partire dal tardo Duecento e lungo tutto il Trecento, una concezione più terrena dell'esperienza mistica del fedele fa emergere una nuova visione del mondo fisico e metafisico.
Nell’area più meridionale d’Italia, dove era preminente il Cristo trionfante, un’opera fondamentale che si pone invece in questa circolazione sul modello doloroso è la Stauroteca della cattedrale di Cosenza, opera prodotta a Palermo nel XII secolo. La croce-stauroteca  è stata attribuita dalla tradizione a Federico II, perché ritenuta un dono del sovrano in occasione della riconsacrazione della cattedrale di Cosenza nel 1222 (Santagata, 1974). In realtà, è stata realizzata in età tardo-normanna nei laboratori regali siciliani ed è plausibilmente entrata in possesso di Federico II assieme al composito tesoro dei suoi predecessori (Dolcini, 1987 e 1995).
Un esemplare degno di nota si trova ad Acri. E’ del XIII secolo. Il Cristo è raffigurato con gli occhi chiusi, cioè dopo il momento della morte. Nel sec. XI comincia ad affermarsi la rappresentazione del Cristo morto, probabilmente anche per influsso della teologia orientale, che voleva rimuovere ogni residuo dell’eresia monofisita e sottolineare anche la natura umana di Cristo.
Altra tipologia è la “Crocifissione con i dolenti in umiltà” ovvero con la Vergine e san Giovanni seduti ai piedi della croce. Pare abbia avuto origine nell’Italia centrale tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento, per poi svilupparsi soprattutto in ambito senese e fiorentino nel corso del secolo successivo attraverso la miniatura, l’oreficeria, la pittura e il rilievo. Tra il XIV e XV secolo è attestata in diverse aree italiane.
In tutte le Chiese di Spezzano Albanese, eccetto il Santuario, si può ammirare la statua del Crocifisso: ideata in cartapesta nella Chiesa S. Maria di Costantinopoli e Santa Maria del Carmine, in legno nella Chiesa dei Ss. Pietro e Paolo. Un esemplare magnifico in legno si conserva nella Cappella funeraria della famiglia Longo presso il cimitero cittadino. Allo stesso modo si conservano tre statue del Cristo risorto, di cui due in gesso e uno in cartapesta, rispettivamente nelle due Chiese parrocchiali e in Santa Maria di Costantinopoli.

Gesù Morto
La statua è racchiusa in una teca di vetro impreziosita da cornice dorata. Sotto la statua e il sudario, il “materasso” di velluto rosso reca la data del 1889. Prima che venisse commissionata questa statua veniva utilizzata un’altra di dimensioni più ridotte e certamente più antica oggi conservata nella Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli. Viene portato in processione con l’Addolorata il Venerdì Santo. 

La processione del Venerdì Santo si snoda alle ore venti accompagnata dai canti tradizionali in lingua albanese di cui è parzialmente autore l’arciprete Fronzini, il resto proviene dalla orale tradizione popolare,  dai testi del letterato Giulio Variboba e di Francesco Antonio Santori un sacerdote di Santa Caterina Albanese, in provincia di Cosenza.
Il pio esercizio della Via Crucis, nelle settimane di Quaresima, segue la struttura classica delle XIV stazioni. Il Venerdì viene officiata nella Chiesa dei Ss. Pietro e Paolo mentre la Domenica nella Chiesa di S. Maria del Carmine, dove si conservano stampe esemplari che narrano il percorso di Gesù dal pretorio di Pilato al Calvario. I canti sono attribuiti dalla tradizione a Pietro Metastasio. Le opinioni in merito sono, tuttavia, discordanti tra loro.

Note
Giorgia Pollio, “Oreficeria Federiciana”, in Enciclopedia Treccani , 2005.
Maria Pia Di Dario Guida, La stauroteca di Cosenza e la cultura artistica dell’estremo sud nell’età normanno-sveva, Cava de’ Tirreni 1984.
Maria Pia Di Dario Guida, “Evoluzione di una tipologia iconografica nell’Alto medioevo. Il Cristo crocifisso in Europa e nell’Oriente mediterraneo”, in Alla ricerca dell’Arte perduta, Gangemi editore 2006.
Cosimo Lasorsa (a cura di), “L’iconografia della Crocifissione”, in Il Vaticanese, 6 novembre 2012.
Andrea Lonardo, Nota sulla rappresentazione iconografia del crocifisso ed il suo messaggio teologico ed ecclesiologico, s.d.
Antonio Dario Fiorini, La figura di Cristo nella Storia dell'Arte tra iconografia e simbolismo, 9 aprile 2014.
Cesare De Rosis, “Acri: restituito al culto il Crocifisso medievale”, rivista In Cammino, Anno XVI n. 4, Aprile 2014, p. 22.
Cesare De Rosis. Medioevo Aureo. La Stauroteca di Cosenza nella produzione artistica della fase normanno – sveva (in corso di stampa)
Gianni Cioli, “La Crocifissione con i dolenti in umiltà. Appunti per un’indagine teologica”, in Arte Cristiana, Anno CIII, 891, Novembre - Dicembre 2015, pp. 433 – 442.

Ringrazio Mario Gaudio per aver permesso la pubblicazione di questo articolo presso la sua rivista on line.

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