di
Mario Gaudio
Raccontare l’avventura del pianista Novecento a qualche mese
dalle celebrazioni per il centenario dell’affondamento del Titanic e con le
immagini ancora vivide della tragedia della Costa Concordia sembra quasi un
atto di irriverenza, ma sono profondamente convinto del fatto che le vicende
vadano sempre narrate dal momento che, per dirla con le parole di Baricco, «non
sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui
raccontarla».
Novecento nasce come un monologo o, a ben vedere, come un testo
difficilmente classificabile, «in bilico tra una vera messa in scena e un
racconto da leggere ad alta voce». È, fuor di dubbio, la forma ideale per
raccontare una straordinaria vicenda che racchiude in sé un’emozionante chiave
di lettura che oserò, in maniera parziale, interpretare. Ma andiamo con ordine.
Sul piroscafo Virginian, che fa la spola tra Europa e America agli inizi del XX
secolo, il marinaio Danny Boodmann trova, in uno scatolo adibito al trasporto
dei limoni e adagiato sul pianoforte della sala da ballo della prima classe, un
bambino che «neanche piangeva», ma «se ne stava silenzioso, con gli occhi
aperti». Boodmann decide di tenerlo con sé e, dopo averlo “battezzato” Danny
Boodmann T. D. Lemon Novecento (rendendo pertanto omaggio a se stesso,
all’iscrizione presente sulla scatola di limoni e al nuovo secolo), lo alleva
nella sala macchine del piroscafo. All’improvviso però, all’età di otto anni,
Novecento si ritrova orfano per la seconda volta in quanto il vecchio Boodmann
muore per un colpo di carrucola alla schiena durante una burrasca. A questo
punto, il capitano decide di far scendere il ragazzino dal suo bastimento ma
questi, dopo essersi nascosto, si fa ritrovare, a nave già salpata, mentre
suona divinamente il pianoforte in piena notte lasciando a dir poco attoniti i
passeggeri e i marinai accorsi a quello spettacolo insolito e inducendo il buon
vecchio comandante ad “assumerlo” come pianista di bordo.
Una scena del film La leggenda del pianista sull'Oceano di Giuseppe Tornatore (1998) |
Fin qui la storia presenta persino tratti di normalità, almeno fino a quando il
narratore (il trombettista di bordo, unico vero amico di Novecento) racconta
che il pianista non era mai sceso a terra e che, nonostante tutto, conosceva il
mondo nei suoi minimi particolari (persino «che odore c’è in Bertham Street,
d’estate, quando ha appena smesso di piovere») per la sua straordinaria
capacità di “leggere” i volti, i gesti e le storie di quelle migliaia di
persone che attraversavano l’Atlantico per i più svariati motivi.
A grandi linee questa è la storia di fondo del monologo che racchiude, a mio
avviso, una interessantissima possibilità di interpretazione accostabile
addirittura alla storia sacra di Cristo. Cercherò di analizzare meglio qualche
argomento in tal senso.
Novecento si ritrova su questa terra, ovvero sul piroscafo Virginian, senza
genitori e senza indizi che possano portare ad identificarli: l’unica certezza
è che si tratta di una creatura di Dio.
Ad accogliere il piccolo è la figura più umile del piroscafo: un marinaio, per
giunta di colore (e, purtroppo, anche all’epoca era diffuso il cancro sociale
del razzismo), che lavora nella sala macchine, la zona più buia e profonda
della nave. L’atteggiamento del vecchio Boodmann ricorda in modo impressionante
l’umiltà e l’accoglienza dell’«umile e alta» Maria di Nàzaret che, accettando
la volontà del Signore, permise l’Incarnazione di Cristo in Terra.
Novecento, dopo la morte del suo padre putativo, scompare per evitare che il
capitano della nave lo costringa a sbarcare (come non cogliere la persecuzione
di Erode di evangelica memoria che indusse la Sacra Famiglia a nascondersi in
Egitto) ed è ritrovato mentre sbalordisce tutti suonando melodie sconosciute e
provocando uno stupore che, per ovvie ragioni, ricorda quello provato dai
dottori della legge che ascoltavano nel Tempio gli insegnamenti di un Gesù
appena dodicenne.
L’epica sfida a colpi di note e scale musicali tra Novecento e il musicista
Jelly Roll Morton (che si autodefiniva «l’inventore del jazz») sottende un
qualcosa di più del semplice fatto musicale: è l’innocenza di Novecento che si
scontra con la superbia di Morton, la purezza del Cristo contro la malizia del
Tentatore.
Lo scrittore piemontese Alessandro Baricco |
Certo, anche la predilezione per gli ultimi accomuna il pianista a Gesù:
Novecento, di pomeriggio o di notte, scendeva in terza classe, tra i poveri e
gli emigranti, regalando la sua vera musica, le sue note che «normali non
erano» e dispensando, quasi fossero miracoli di guarigione, quelle melodie
utili affinché «la gente non sentisse passare il tempo, e si dimenticasse
dov’era e chi era».
È chiaro dunque che le somiglianze tra alcuni episodi evangelici e il testo di
Baricco non possono essere affatto casuali e ne è ulteriore e decisiva conferma
la fine di Novecento: preferisce starsene seduto sulla dinamite posta a bordo
del Virginian (ormai inservibile e in procinto di essere demolito nel porto di
Plymouth) piuttosto che salvarsi scendendo a terra, quasi a voler consumare
fino in fondo quell’opera di redenzione che il pianista ha portato avanti con
la sua musica celestiale nel microcosmo del Virginian.
In ultima analisi, la leggenda del pianista sull’Oceano (parafrasando il titolo
con cui Giuseppe Tornatore portò al cinema questa vicenda) trascende il
significato che, ad una prima lettura, potrebbe apparire, nascondendo, in
realtà, verità ed episodi molto più profondi e antichi, paragonabili al tesoro
nascosto nel campo di evangelica memoria. Tutto ciò rende il testo
assolutamente intrigante e degno di essere letto.
(Pubblicato su dirittodicronaca.it,
Registrazione Tribunale di Castrovillari (Cs) N. 4/09 del 02/11/2009)
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