Visualizzazioni totali

mercoledì 16 aprile 2014

Una possibile interpretazione cristiana del "Novecento" di Alessandro Baricco

di 
Mario Gaudio

Raccontare l’avventura del pianista Novecento a qualche mese dalle celebrazioni per il centenario dell’affondamento del Titanic e con le immagini ancora vivide della tragedia della Costa Concordia sembra quasi un atto di irriverenza, ma sono profondamente convinto del fatto che le vicende vadano sempre narrate dal momento che, per dirla con le parole di Baricco, «non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla».
Novecento nasce come un monologo o, a ben vedere, come un testo difficilmente classificabile, «in bilico tra una vera messa in scena e un racconto da leggere ad alta voce». È, fuor di dubbio, la forma ideale per raccontare una straordinaria vicenda che racchiude in sé un’emozionante chiave di lettura che oserò, in maniera parziale, interpretare. Ma andiamo con ordine.
Sul piroscafo Virginian, che fa la spola tra Europa e America agli inizi del XX secolo, il marinaio Danny Boodmann trova, in uno scatolo adibito al trasporto dei limoni e adagiato sul pianoforte della sala da ballo della prima classe, un bambino che «neanche piangeva», ma «se ne stava silenzioso, con gli occhi aperti». Boodmann decide di tenerlo con sé e, dopo averlo “battezzato” Danny Boodmann T. D. Lemon Novecento (rendendo pertanto omaggio a se stesso, all’iscrizione presente sulla scatola di limoni e al nuovo secolo), lo alleva nella sala macchine del piroscafo. All’improvviso però, all’età di otto anni, Novecento si ritrova orfano per la seconda volta in quanto il vecchio Boodmann muore per un colpo di carrucola alla schiena durante una burrasca. A questo punto, il capitano decide di far scendere il ragazzino dal suo bastimento ma questi, dopo essersi nascosto, si fa ritrovare, a nave già salpata, mentre suona divinamente il pianoforte in piena notte lasciando a dir poco attoniti i passeggeri e i marinai accorsi a quello spettacolo insolito e inducendo il buon vecchio comandante ad “assumerlo” come pianista di bordo.
Una scena del film La leggenda del pianista sull'Oceano
di Giuseppe Tornatore (1998)
Fin qui la storia presenta persino tratti di normalità, almeno fino a quando il narratore (il trombettista di bordo, unico vero amico di Novecento) racconta che il pianista non era mai sceso a terra e che, nonostante tutto, conosceva il mondo nei suoi minimi particolari (persino «che odore c’è in Bertham Street, d’estate, quando ha appena smesso di piovere») per la sua straordinaria capacità di “leggere” i volti, i gesti e le storie di quelle migliaia di persone che attraversavano l’Atlantico per i più svariati motivi.
A grandi linee questa è la storia di fondo del monologo che racchiude, a mio avviso, una interessantissima possibilità di interpretazione accostabile addirittura alla storia sacra di Cristo. Cercherò di analizzare meglio qualche argomento in tal senso.
Novecento si ritrova su questa terra, ovvero sul piroscafo Virginian, senza genitori e senza indizi che possano portare ad identificarli: l’unica certezza è che si tratta di una creatura di Dio.
Ad accogliere il piccolo è la figura più umile del piroscafo: un marinaio, per giunta di colore (e, purtroppo, anche all’epoca era diffuso il cancro sociale del razzismo), che lavora nella sala macchine, la zona più buia e profonda della nave. L’atteggiamento del vecchio Boodmann ricorda in modo impressionante l’umiltà e l’accoglienza dell’«umile e alta» Maria di Nàzaret che, accettando la volontà del Signore, permise l’Incarnazione di Cristo in Terra.
Novecento, dopo la morte del suo padre putativo, scompare per evitare che il capitano della nave lo costringa a sbarcare (come non cogliere la persecuzione di Erode di evangelica memoria che indusse la Sacra Famiglia a nascondersi in Egitto) ed è ritrovato mentre sbalordisce tutti suonando melodie sconosciute e provocando uno stupore che, per ovvie ragioni, ricorda quello provato dai dottori della legge che ascoltavano nel Tempio gli insegnamenti di un Gesù appena dodicenne.
L’epica sfida a colpi di note e scale musicali tra Novecento e il musicista Jelly Roll Morton (che si autodefiniva «l’inventore del jazz») sottende un qualcosa di più del semplice fatto musicale: è l’innocenza di Novecento che si scontra con la superbia di Morton, la purezza del Cristo contro la malizia del Tentatore.
Lo scrittore piemontese Alessandro Baricco
Certo, anche la predilezione per gli ultimi accomuna il pianista a Gesù: Novecento, di pomeriggio o di notte, scendeva in terza classe, tra i poveri e gli emigranti, regalando la sua vera musica, le sue note che «normali non erano» e dispensando, quasi fossero miracoli di guarigione, quelle melodie utili affinché «la gente non sentisse passare il tempo, e si dimenticasse dov’era e chi era».
È chiaro dunque che le somiglianze tra alcuni episodi evangelici e il testo di Baricco non possono essere affatto casuali e ne è ulteriore e decisiva conferma la fine di Novecento: preferisce starsene seduto sulla dinamite posta a bordo del Virginian (ormai inservibile e in procinto di essere demolito nel porto di Plymouth) piuttosto che salvarsi scendendo a terra, quasi a voler consumare fino in fondo quell’opera di redenzione che il pianista ha portato avanti con la sua musica celestiale nel microcosmo del Virginian.
In ultima analisi, la leggenda del pianista sull’Oceano (parafrasando il titolo con cui Giuseppe Tornatore portò al cinema questa vicenda) trascende il significato che, ad una prima lettura, potrebbe apparire, nascondendo, in realtà, verità ed episodi molto più profondi e antichi, paragonabili al tesoro nascosto nel campo di evangelica memoria. Tutto ciò rende il testo assolutamente intrigante e degno di essere letto.


 (Pubblicato su dirittodicronaca.it, Registrazione Tribunale di Castrovillari (Cs) N. 4/09 del 02/11/2009)

Nessun commento:

Posta un commento