di
Mario Gaudio
Nel 1929, Virginia Woolf raccolse i testi di due conferenze
sul tema “Le donne e il romanzo” tenute, nell’ottobre dell’anno precedente, alle
studentesse dell’Arts Society di Newnham e del Girton College di Cambridge,
dando vita ad un corposo saggio romanzato curiosamente intitolato Una stanza
tutta per sé.
Nello stesso anno, la Woolf visitò Berlino, cuore della Repubblica
di Weimar, il mostro politico che sarebbe stato abbattuto di lì a breve dai
contraccolpi economici del crollo della Borsa di Wall Street e dall’avvento al
potere, appena quattro anni dopo, di Adolf Hitler.
Virginia Woolf (1882 - 1941) |
Il clima era pertanto avvelenato e l’instabilità generale
faceva presentire nell’aria una catastrofe che non tardò ad arrivare. Non c’era
tempo e voglia per discutere della questione femminista dal momento che la
civiltà europea era ad un passo dal baratro. Fu così che questo testo,
estremamente acuto e ben strutturato, cadde momentaneamente nel dimenticatoio
della storia.
Decenni più tardi, negli anni Settanta, dopo l’immane strage
della seconda guerra mondiale, nel clima teso della Guerra Fredda ma, comunque,
in un periodo di ripresa economica, le rivendicazioni femministe per i diritti
civili tornarono ad essere pressanti e, nel contesto culturale, si ebbe la
riscoperta del saggio di Virginia Woolf che, nonostante fosse datato, apparve
agli occhi di chi lesse come un testo estremamente moderno nei contenuti.
Una stanza tutta per sé si presenta dunque come un perfetto
manifesto della causa femminista: un femminismo sano, fondato culturalmente e
storicamente, lontano dalle attuali manifestazioni più spregiudicate e senza
senso che equiparano indiscriminatamente i due sessi violentando anche le
naturali differenze biologiche.
La Woolf partì da un’esperienza di carattere prettamente
biografico, vale a dire il rigetto della società patriarcale nella quale era
vissuta e in cui, per forza di cose, si sentiva prigioniera. Da questa premessa
personale, la scrittrice britannica passò poi ad analizzare il rapporto storico
tra il mondo femminile e la letteratura, notando come fino al Settecento, una
donna, per quanto dotata di talento, non avrebbe avuto spazio in una società
maschilista e scettica nei confronti delle capacità dell’altro sesso.
Nonostante ciò, la figura femminile continuava ad essere al centro della
produzione poetica, ma a livello sociale viveva in pieno stato di emarginazione
e questo comportò una stranissima discrasia in quanto dalla donna della
letteratura venivano pronunciate «alcune tra le parole più ispirate», ma «nella
vita reale non sapeva leggere, scriveva a malapena ed era proprietà del
marito».
La Woolf notò inoltre che «[…] tutte le grandi donne della
letteratura erano state, fino ai tempi di Jane Austen, non solo viste
dall’altro sesso, ma viste solo in relazione all’altro sesso» e ciò produceva
come naturale conseguenza gli «[…] estremi sorprendenti di bellezza e di
orrore; quell’avvicendarsi, in lei, di una bontà celestiale e di una
depravazione infernale; perché così doveva vederla un amante, a seconda che il
suo amore crescesse o sparisse, fosse prospero o infelice».
Manifestazione femminista |
Alla base di questo atteggiamento maschile nei confronti
dell’altro sesso l’autrice individuò la rabbia, un sentimento che portava,
nella fattispecie, ad affermare l’inferiorità della donna per ribadire
inconsciamente la propria superiorità.
Con Aphra Behn (1640-1689) le cose mutarono. Questa
scrittrice (poco conosciuta) dimostrò come le donne potessero vivere e
guadagnare attraverso i loro scritti e, dal suo esempio, scaturì un numero
crescente di ragazze che si dedicarono alla letteratura, tra cui spiccarono le
talentuose Jane Austen ed Emily Brontë.
Il genere maggiormente frequentato dalle donne fu quello del
romanzo, ancora in formazione e pertanto più duttile ma, soprattutto, meno
impegnativo, dal momento che la mancanza di una stanza tutta per sé costringeva
le ragazze a scrivere in camere di soggiorno frequentate in cui venivano
costantemente interrotte. Non a caso, la Woolf indicò come condizioni essenziali
per una donna desiderosa di dedicarsi alla letteratura due elementi: la
sicurezza economica (una rendita di almeno cinquecento sterline al mese) e una
stanza tutta per sé in cui poter lavorare con tranquillità.
Insomma, Una stanza tutta per sé è uno scritto capace, a
distanza di quasi un secolo, di far riflettere e, soprattutto, di indirizzare
la lotta femminista (ancora attiva in diversi paesi del mondo) tenendo conto di
un fattore importante, vale a dire la necessità di non equiparare in tutto e
per tutto i due sessi che, per natura, presentano valide e indispensabili
differenze, ma identica dignità: «Sarebbe un gran peccato se le donne
scrivessero come gli uomini, o vivessero come loro, o assumessero il loro
aspetto; perché se due sessi non bastano, considerando la vastità e la varietà
del mondo, come potremmo cavarcela con uno solo?».
(Pubblicato su dirittodicronaca.it, Registrazione Tribunale
di Castrovillari (Cs) N. 4/09 del 02/11/2009)