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sabato 20 settembre 2014

"Una stanza tutta per sé": manifesto del moderno femminismo

di
Mario Gaudio

Nel 1929, Virginia Woolf raccolse i testi di due conferenze sul tema “Le donne e il romanzo” tenute, nell’ottobre dell’anno precedente, alle studentesse dell’Arts Society di Newnham e del Girton College di Cambridge, dando vita ad un corposo saggio romanzato curiosamente intitolato Una stanza tutta per sé.
Nello stesso anno, la Woolf visitò Berlino, cuore della Repubblica di Weimar, il mostro politico che sarebbe stato abbattuto di lì a breve dai contraccolpi economici del crollo della Borsa di Wall Street e dall’avvento al potere, appena quattro anni dopo, di Adolf Hitler.
Virginia Woolf (1882 - 1941) 
Il clima era pertanto avvelenato e l’instabilità generale faceva presentire nell’aria una catastrofe che non tardò ad arrivare. Non c’era tempo e voglia per discutere della questione femminista dal momento che la civiltà europea era ad un passo dal baratro. Fu così che questo testo, estremamente acuto e ben strutturato, cadde momentaneamente nel dimenticatoio della storia.
Decenni più tardi, negli anni Settanta, dopo l’immane strage della seconda guerra mondiale, nel clima teso della Guerra Fredda ma, comunque, in un periodo di ripresa economica, le rivendicazioni femministe per i diritti civili tornarono ad essere pressanti e, nel contesto culturale, si ebbe la riscoperta del saggio di Virginia Woolf che, nonostante fosse datato, apparve agli occhi di chi lesse come un testo estremamente moderno nei contenuti.
Una stanza tutta per sé si presenta dunque come un perfetto manifesto della causa femminista: un femminismo sano, fondato culturalmente e storicamente, lontano dalle attuali manifestazioni più spregiudicate e senza senso che equiparano indiscriminatamente i due sessi violentando anche le naturali differenze biologiche.
La Woolf partì da un’esperienza di carattere prettamente biografico, vale a dire il rigetto della società patriarcale nella quale era vissuta e in cui, per forza di cose, si sentiva prigioniera. Da questa premessa personale, la scrittrice britannica passò poi ad analizzare il rapporto storico tra il mondo femminile e la letteratura, notando come fino al Settecento, una donna, per quanto dotata di talento, non avrebbe avuto spazio in una società maschilista e scettica nei confronti delle capacità dell’altro sesso. Nonostante ciò, la figura femminile continuava ad essere al centro della produzione poetica, ma a livello sociale viveva in pieno stato di emarginazione e questo comportò una stranissima discrasia in quanto dalla donna della letteratura venivano pronunciate «alcune tra le parole più ispirate», ma «nella vita reale non sapeva leggere, scriveva a malapena ed era proprietà del marito».
La Woolf notò inoltre che «[…] tutte le grandi donne della letteratura erano state, fino ai tempi di Jane Austen, non solo viste dall’altro sesso, ma viste solo in relazione all’altro sesso» e ciò produceva come naturale conseguenza gli «[…] estremi sorprendenti di bellezza e di orrore; quell’avvicendarsi, in lei, di una bontà celestiale e di una depravazione infernale; perché così doveva vederla un amante, a seconda che il suo amore crescesse o sparisse, fosse prospero o infelice».
Manifestazione femminista
Alla base di questo atteggiamento maschile nei confronti dell’altro sesso l’autrice individuò la rabbia, un sentimento che portava, nella fattispecie, ad affermare l’inferiorità della donna per ribadire inconsciamente la propria superiorità.
Con Aphra Behn (1640-1689) le cose mutarono. Questa scrittrice (poco conosciuta) dimostrò come le donne potessero vivere e guadagnare attraverso i loro scritti e, dal suo esempio, scaturì un numero crescente di ragazze che si dedicarono alla letteratura, tra cui spiccarono le talentuose Jane Austen ed Emily Brontë.
Il genere maggiormente frequentato dalle donne fu quello del romanzo, ancora in formazione e pertanto più duttile ma, soprattutto, meno impegnativo, dal momento che la mancanza di una stanza tutta per sé costringeva le ragazze a scrivere in camere di soggiorno frequentate in cui venivano costantemente interrotte. Non a caso, la Woolf indicò come condizioni essenziali per una donna desiderosa di dedicarsi alla letteratura due elementi: la sicurezza economica (una rendita di almeno cinquecento sterline al mese) e una stanza tutta per sé in cui poter lavorare con tranquillità.
Insomma, Una stanza tutta per sé è uno scritto capace, a distanza di quasi un secolo, di far riflettere e, soprattutto, di indirizzare la lotta femminista (ancora attiva in diversi paesi del mondo) tenendo conto di un fattore importante, vale a dire la necessità di non equiparare in tutto e per tutto i due sessi che, per natura, presentano valide e indispensabili differenze, ma identica dignità: «Sarebbe un gran peccato se le donne scrivessero come gli uomini, o vivessero come loro, o assumessero il loro aspetto; perché se due sessi non bastano, considerando la vastità e la varietà del mondo, come potremmo cavarcela con uno solo?».

(Pubblicato su dirittodicronaca.it, Registrazione Tribunale di Castrovillari (Cs) N. 4/09 del 02/11/2009)


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