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venerdì 2 maggio 2014

Officina umanistica: Il pane dell'umanità



Che l’uomo è ciò che mangia è il detto famoso di Feuerbach: sembra fatto apposta per l’Expo 2015. Esso compare in uno scritto del 1862 e non va inteso in senso grettamente materialistico. L’uomo è innanzi tutto bisogno naturale e se questo tratto non viene soddisfatto, l’accesso ai valori dello spirito ne risulta inibito, come accade per un’umanità, abbrutita per generazioni, dalla fame e dalla miseria. Invece di tante prediche sulla virtù, sarebbe più efficace procurare loro di che sfamarsi. Come si vede, l’intento di Feuerbach è politico e sociale. Invece, il fisiologo positivista Jacob Moleschott (che pure a Feuerbach intendeva ispirarsi) propose una Teoria dell’alimentazione (1850) che si muoveva in parallelo con la sua affermazione: «senza fosforo non esiste il pensiero». Moleschott insegnò anche a Torino e a Roma e il suo brutale materialismo suscitò la reazione indignata di Mazzini. Il dibattito storico sul cibo ha in effetti una lunga storia, nella quale spicca il contributo di Kant. Nello scritto del 1786 (Congetture sull’origine della storia) Kant osò rileggere i capitoli 2-4 del primo libro della Genesi in una chiave razionalistica. L’uscita dell’uomo dal paradiso dell’istinto animale, venne promossa dalla famosa scelta della mela, cioè dal desiderio di estendere la conoscenza degli alimenti. Non è la mela in sé che è importante, ma quel primo emergere della coscienza di una vita retta, essenzialmente, non dall’istinto ma dalla ragione e dalla sua ansia di ricerca. Gli umani scoprirono così la capacità di andare oltre i limiti naturali, per inaugurare inediti sistemi di vita, sino a diventare «scopo a se stessi». Cominciò allora propriamente la storia, sintetizzata in una frase straordinaria: «La ragione — scrive Kant —, spinse l’uomo a sopportare pazientemente la fatica, che egli odia, a perseguire ardentemente le piccole cose che egli disprezza e a obliare la morte stessa, davanti alla quale egli trema, per amore di queste inezie, la cui perdita lo atterrisce ancor più». Questa faccenda di Adamo ridotto a un bestione tutto stupore e ferocia, e curiosità alimentare, non piacque alle autorità religiose prussiane e Kant passò i suoi guai, senza peraltro ritrattare ciò che aveva scritto. Egli aveva capovolto il senso del racconto biblico: non la caduta dell’uomo da una condizione di perfezione, ma l’inizio di un processo di incivilimento e di progresso morale e intellettuale: in quel processo anche il cibo aveva la sua parte.
I filosofi sono intuitivi e spesso anticipano gli scienziati, i quali oggi non hanno dubbi nell’indicare nel cibo uno dei parametri fondamentali per comprendere la nostra storia naturale e sociale: una storia assai più antica e complessa di come potessero immaginare Feuerbach o Kant, contrassegnata da una lunghissima incubazione nel cuore dell’Africa e poi da una diaspora di forse diecimila anni, che condusse l’homo sapiens a prendere progressivamente dimora in tutti i luoghi della terra e in quasi tutti i climi del pianeta. Così gli archeologi e gli antropologi cercano negli scavi residui carbonizzati di cibo e studiano la condizione dei denti negli scheletri per farsi un’idea dell’alimentazione dell’umanità primitiva, traendone nel contempo informazioni essenziali per le strutture familiari e sociali e per l’evoluzione dell’intelligenza, quasi a ripetere, in modi documentati e argomentati, il motto di Feuerbach. Il passaggio da un’economia della raccolta e della caccia all’allevamento e alla coltivazione, mostra da sé come il cammino delle abitudini alimentari e dei progressi tecnici e psicologici vadano di pari passo. L’uomo è ciò che mangia, o meglio, è ciò che fa per procurarsi il cibo del corpo e la salute dell’anima. Come risolve questi problemi determina e rispecchia la sua personalità morale, sicché la differenza tra il cibo crudo e il cibo cotto è, per esempio, un parametro importante per comprendere il cammino stesso della civiltà.
Il cibo è in una relazione essenziale col lavoro sociale e questo è oggi un grande problema. Come risolveremo i bisogni alimentari senza devastare il clima, senza distruggere le biodiversità, senza sottrarre alle popolazioni locali il diritto di scegliersi uno sviluppo autonomo, senza arrendersi all’avidità economica di pochi e all’egoismo dei più forti, senza continuare un cammino la cui follia potrebbe generare la rovina di tutti, queste sono le sfide che il tema del cibo riassume e concentra in sé. Insomma: dimmi come mangi e ti dirò chi sei.

Carlo Sini
Tratto da: www.corriere.it (30 aprile 2014)



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