Che l’uomo è ciò che mangia è il detto famoso di Feuerbach:
sembra fatto apposta per l’Expo 2015. Esso compare in uno scritto del 1862 e
non va inteso in senso grettamente materialistico. L’uomo è innanzi tutto
bisogno naturale e se questo tratto non viene soddisfatto, l’accesso ai valori
dello spirito ne risulta inibito, come accade per un’umanità, abbrutita per
generazioni, dalla fame e dalla miseria. Invece di tante prediche sulla virtù,
sarebbe più efficace procurare loro di che sfamarsi. Come si vede, l’intento di
Feuerbach è politico e sociale. Invece, il fisiologo positivista Jacob
Moleschott (che pure a Feuerbach intendeva ispirarsi) propose una Teoria
dell’alimentazione (1850) che si muoveva in parallelo con la sua affermazione:
«senza fosforo non esiste il pensiero». Moleschott insegnò anche a Torino e a
Roma e il suo brutale materialismo suscitò la reazione indignata di Mazzini. Il
dibattito storico sul cibo ha in effetti una lunga storia, nella quale spicca
il contributo di Kant. Nello scritto del 1786 (Congetture sull’origine della
storia) Kant osò rileggere i capitoli 2-4 del primo libro della Genesi in una
chiave razionalistica. L’uscita dell’uomo dal paradiso dell’istinto animale,
venne promossa dalla famosa scelta della mela, cioè dal desiderio di estendere
la conoscenza degli alimenti. Non è la mela in sé che è importante, ma quel
primo emergere della coscienza di una vita retta, essenzialmente, non
dall’istinto ma dalla ragione e dalla sua ansia di ricerca. Gli umani
scoprirono così la capacità di andare oltre i limiti naturali, per inaugurare
inediti sistemi di vita, sino a diventare «scopo a se stessi». Cominciò allora
propriamente la storia, sintetizzata in una frase straordinaria: «La ragione —
scrive Kant —, spinse l’uomo a sopportare pazientemente la fatica, che egli
odia, a perseguire ardentemente le piccole cose che egli disprezza e a obliare
la morte stessa, davanti alla quale egli trema, per amore di queste inezie, la
cui perdita lo atterrisce ancor più». Questa faccenda di Adamo ridotto a un
bestione tutto stupore e ferocia, e curiosità alimentare, non piacque alle
autorità religiose prussiane e Kant passò i suoi guai, senza peraltro
ritrattare ciò che aveva scritto. Egli aveva capovolto il senso del racconto
biblico: non la caduta dell’uomo da una condizione di perfezione, ma l’inizio
di un processo di incivilimento e di progresso morale e intellettuale: in quel
processo anche il cibo aveva la sua parte.
I filosofi sono intuitivi e spesso anticipano gli scienziati, i quali oggi non
hanno dubbi nell’indicare nel cibo uno dei parametri fondamentali per
comprendere la nostra storia naturale e sociale: una storia assai più antica e
complessa di come potessero immaginare Feuerbach o Kant, contrassegnata da una lunghissima
incubazione nel cuore dell’Africa e poi da una diaspora di forse diecimila
anni, che condusse l’homo sapiens a prendere progressivamente dimora in
tutti i luoghi della terra e in quasi tutti i climi del pianeta. Così gli
archeologi e gli antropologi cercano negli scavi residui carbonizzati di cibo e
studiano la condizione dei denti negli scheletri per farsi un’idea
dell’alimentazione dell’umanità primitiva, traendone nel contempo informazioni
essenziali per le strutture familiari e sociali e per l’evoluzione
dell’intelligenza, quasi a ripetere, in modi documentati e argomentati, il
motto di Feuerbach. Il passaggio da un’economia della raccolta e della caccia
all’allevamento e alla coltivazione, mostra da sé come il cammino delle
abitudini alimentari e dei progressi tecnici e psicologici vadano di pari
passo. L’uomo è ciò che mangia, o meglio, è ciò che fa per procurarsi il cibo
del corpo e la salute dell’anima. Come risolve questi problemi determina e
rispecchia la sua personalità morale, sicché la differenza tra il cibo crudo e
il cibo cotto è, per esempio, un parametro importante per comprendere il
cammino stesso della civiltà.
Il cibo è in una relazione essenziale col lavoro sociale e questo è oggi un
grande problema. Come risolveremo i bisogni alimentari senza devastare il
clima, senza distruggere le biodiversità, senza sottrarre alle popolazioni
locali il diritto di scegliersi uno sviluppo autonomo, senza arrendersi
all’avidità economica di pochi e all’egoismo dei più forti, senza continuare un
cammino la cui follia potrebbe generare la rovina di tutti, queste sono le
sfide che il tema del cibo riassume e concentra in sé. Insomma: dimmi come
mangi e ti dirò chi sei.
Carlo Sini
Tratto da: www.corriere.it (30 aprile 2014)
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