L'ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti |
Dell'uomo pubblico che più di ogni altro è riuscito a
difendere il suo privato, resta un archivio che è tanto personale quanto di
Stato. Un mondo fatto di carte riservate e riservatissime o appunti scritti a
mano accanto ad altre che raccontano l'uomo curioso e il collezionista
maniacale di vignette, menù e perfino pubblicità su di lui. Ma è un mare magnum
tutto da navigare l'archivio di Giulio Andreotti ed è così che l'ha lasciato a
disposizione di studiosi e curiosi, prima di andarsene il 6 maggio di un anno
fa.
Donato nel 2007 all'Istituto Sturzo, conta 3500 faldoni
(buste in gergo) ordinati in armadi che scorrono su binari nel seminterrato di
via delle Coppelle, a due passi dal Pantheon. Si intravedono dalle finestre che
danno sulla strada, grigi e anonimi, eppure racchiudono discorsi, retroscena e
forse segreti dell'uomo che fu per sette volte al governo e in altrettanti
ministeri. "E' un archivio del tutto singolare - spiega Giuseppe
Sangiorgi, segretario generale dell'Istituto Sturzo dove sono conservati anche
i documenti di Gronchi, Scelba, della Dc - perché è un archivio privato di
Stato e credo sia l'unico esempio in Italia e forse uno dei pochi in Europa per
l'enormità delle dimensioni".
Lungo 600 metri se quelle carte fossero tutte in fila,
racconta la parabola del Divo Giulio dalle foto dei genitori agli ultimi
discorsi, compresi i guai giudiziari e le carte dei processi. E di conseguenza
la storia d'Italia dai primi anni '40 al 2010 passando per i congressi della
Dc, il sequestro Moro, le battaglie pro e contro il divorzio fino agli atti del
Vaticano e al dibattito sull'Europa unita. Ma finora solo 600 faldoni sono
stati inventariati (il 20% circa) e in parte digitalizzati. Tanti, quindi, sono
consultabili da chi ne fa richiesta. Restano fuori, tra gli altri, il fascicolo
Moro e quello su Ustica. "Ci vorranno anni per finire", ammette
Sangiorgi, convinto che sia un lavoro necessario per sbrogliare la matassa, e
non per temporeggiare imponendo censure.
"Andreotti i suoi segreti li ha lasciati qui,
all'Istituto Sturzo, e non nella tomba come si racconta - insiste il segretario
- Qui ci si imbatte spesso in documenti con la scritta 'riservato',
'riservatissimo', 'segreto'. In effetti gran parte del materiale era coperto da
riserbo e man mano che sarà inventariato, faremo luce sulla storia italiana. Ad
esempio sull'epilogo della Democrazia cristiana che si riflette nel carteggio
tra Andreotti premier e Cossiga presidente della Repubblica, che assistono
impotenti a quel declino".
Da qui un messaggio a Paolo Sorrentino, il regista del Divo:
"Una volta vorrei portarlo qui - propone Sangiorgi - aprire con lui questi
faldoni, capire la complessità della storia e dell'azione politica di Andreotti
e chiedergli se pensa di fare una seconda edizione di quel film".
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