Visualizzazioni totali

sabato 26 aprile 2014

Tombe e assurde filosofie nel nuovo romanzo di Arianna Gasbarro

di
Mario Gaudio

Se questo libro fosse capitato tra le mani del buon vecchio Freud, gli avrebbe dato di sicuro un gran bel da fare: Arianna Gasbarro affastella infatti tra le pagine del suo romanzo diverse assurde teorie che celano, in realtà, interessanti dinamiche psicologiche.
Il protagonista di Requiem del Dodo è Mattia Rinaldi, un giovane regista che si trova a Londra per realizzare un documentario naturalistico per bambini; un’occupazione che per lui, ambizioso e desideroso di realizzare un capolavoro cinematografico in grado di affollare i botteghini, risulta essere profondamente frustrante. 
Questo stato d’animo di torbida insoddisfazione è sapientemente reso dalla Gasbarro nella struttura del suo romanzo, dacché si susseguono le parti propriamente narrative e quelle che potremmo piuttosto definire come “appunti di regia” in quanto contengono gli abbozzi di soggetti cinematografici partoriti dalla fantasia creativa di Mattia.
Tale andamento narrativo ondulatorio, in cui si mescolano e si confondono realtà e finzione da un lato e vita e arte dall’altro, ricorda molto da vicino le scene di The dreamers, film di successo del 2003 in cui il regista Bernardo Bertolucci riproduce la cinefilia dei tre protagonisti attraverso il serrato susseguirsi di immagini rappresentanti la vita e le vicende dei soggetti in questione e spezzoni di vecchie pellicole che essi si divertono ad imitare e, dunque, a rivivere.
Requiem del Dodo 
di Arianna Gasbarro
Anche nel personaggio di Mattia Rinaldi la cinefilia regna sovrana, ma inficiata da un lutto che il giovane ancora non è stato in grado di elaborare: l’uccisione dell’amico pittore Oscar ad opera di uno squilibrato incontrato casualmente per le strade di New York.
Durante il soggiorno londinese, tra piogge incessanti, freddo insopportabile e boccali di birra, Mattia ritrova Mia, una vecchia compagna di liceo che sbarca il lunario travestendosi da dodo (antico volatile estinto) durante i documentari girati al Natural History Museum e facendo la tomba-sitter, ovvero una sorta di badante dei sepolcri su incarico delle famiglie dell’estinto.
Questo incontro sarà cruciale per la vita e l’ispirazione del giovane e ambizioso regista. Mia è una ragazza a dir poco «irrazionalizzabile» e «irrazionalizzante» che, passeggiando tra lapidi sbilenche, angeli marmorei e terra smossa da poco, ha elaborato un’assurda filosofia, l’«unico credo possibile», su presunti flussi energetici che impregnano i cimiteri e possono essere positivamente captati da chi li visita.
La morte è l’indiscussa protagonista della vita e dei pensieri di Mia, a tal punto che un pessimismo disumano e globale giunge ad impregnare le pagine del romanzo in questione ispirando nella Gasbarro simili affermazioni: «Non siamo altro che carne e sangue in corsa verso l’oblio»; «Tutto è macerie […]»; «Siamo tutti afflitti da una malattia terminale, sin dalla nascita».
Ma non è tutto: assurde teorie sull’origine dei tumori e dei terremoti e constatazioni atee e anticlericali, degne delle peggiori esternazioni ideologiche di Piergiorgio Odifreddi, svalutano nettamente la portata culturale  e l’equilibrio stilistico di Requiem del Dodo.
Un’analisi a parte merita invece il finale della vicenda che si apre ad una particolare chiave interpretativa celata in filigrana e difficilmente individuabile se non si conosce una moderna leggenda metropolitana diffusa nella cultura angloamericana che racconta la storia nota come “autostoppista fantasma”. Una delle tante versioni in circolazione narra che una ragazza, dopo aver fatto l’autostop, sale a bordo di un auto indicando al conducente il luogo di un potenziale pericolo (luogo in cui in precedenza è realmente accaduto un incidente stradale) e facendosi poi riaccompagnare a casa (di solito l’abitazione è situata nei pressi di un cimitero). Scendendo dalla macchina, l’autostoppista è solita lasciare sui sedili un oggetto personale che consente poi al conducente di risalire ad un determinato indirizzo in cui si scopre sia vissuta una ragazza somigliante perfettamente a quella accompagnata in precedenza e morta in un incidente stradale proprio nel luogo di potenziale pericolo indicato dall’autostoppista.
Di questa leggenda, Requiem del Dodo mantiene tra le righe almeno quattro tratti salienti: in primis Mattia rincontra per caso Mia dopo tanti anni nei quali si era persa ogni traccia di lei, dopo che aveva «trascinati tutti in un pub ad affogare nella birra la gioia per i suoi diciotto anni» (potremmo addirittura maliziosamente ipotizzare che la ragazza sia deceduta proprio in un incidente automobilistico avvenuto subito dopo la festa a causa dell’ubriachezza); in secundis Mia aiuta con le sue riflessioni l’ormai fievole vena creativa di Mattia che, una volta terminata la vicenda,  deciderà di trasformare l’esperienza vissuta nel soggetto destinato al suo film (come non pensare in questo caso all’aiuto dell’autostoppista fantasma per far evitare un pericolo al generoso autista che l’ha accolta a bordo); in terzo luogo anche Mia, sebbene la cosa non sia esplicitamente detta dall’autrice, lascia a Mattia una traccia tangibile del suo passaggio: la sciarpa celeste che nelle prime pagine la ragazza porta al collo la si ritrova nelle ultime pagine del romanzo addosso al giovane regista; infine Mattia si reca presso quella che Mia aveva indicato come la sua residenza scoprendo, con sconforto, che, in realtà, da oltre un decennio vi abita una famiglia che ignora totalmente l’esistenza della sua amica.
In ultima analisi, Requiem del Dodo è un romanzo inquietante, strambo sotto certi aspetti, ma degno di essere letto per via di una trama a volte monotona, ma mai banale, che, nel finale, è riscattata dalla fusione tra realtà e leggenda, tra vita e morte, desiderio e aiuto.


(Pubblicato su dirittodicronaca.it, Registrazione Tribunale di Castrovillari (Cs) N. 4/09 del 02/11/2009)

Nessun commento:

Posta un commento