di
Mario Gaudio
Se questo libro fosse capitato tra le mani del buon vecchio
Freud, gli avrebbe dato di sicuro un gran bel da fare: Arianna Gasbarro
affastella infatti tra le pagine del suo romanzo diverse assurde teorie che
celano, in realtà, interessanti dinamiche psicologiche.
Il protagonista di Requiem del Dodo è Mattia Rinaldi, un giovane
regista che si trova a Londra per realizzare un documentario naturalistico per
bambini; un’occupazione che per lui, ambizioso e desideroso di realizzare un
capolavoro cinematografico in grado di affollare i botteghini, risulta essere
profondamente frustrante.
Questo stato d’animo di torbida insoddisfazione è sapientemente reso dalla
Gasbarro nella struttura del suo romanzo, dacché si susseguono le parti
propriamente narrative e quelle che potremmo piuttosto definire come “appunti
di regia” in quanto contengono gli abbozzi di soggetti cinematografici
partoriti dalla fantasia creativa di Mattia.
Tale andamento narrativo ondulatorio, in cui si mescolano e si confondono
realtà e finzione da un lato e vita e arte dall’altro, ricorda molto da vicino
le scene di The dreamers, film di successo del 2003 in cui il regista
Bernardo Bertolucci riproduce la cinefilia dei tre protagonisti attraverso il
serrato susseguirsi di immagini rappresentanti la vita e le vicende dei
soggetti in questione e spezzoni di vecchie pellicole che essi si divertono ad
imitare e, dunque, a rivivere.
Requiem del Dodo di Arianna Gasbarro |
Anche nel personaggio di Mattia Rinaldi la cinefilia regna sovrana, ma
inficiata da un lutto che il giovane ancora non è stato in grado di elaborare:
l’uccisione dell’amico pittore Oscar ad opera di uno squilibrato incontrato
casualmente per le strade di New York.
Durante il soggiorno londinese, tra piogge incessanti, freddo insopportabile e
boccali di birra, Mattia ritrova Mia, una vecchia compagna di liceo che sbarca
il lunario travestendosi da dodo (antico volatile estinto) durante i
documentari girati al Natural History Museum e facendo la tomba-sitter, ovvero
una sorta di badante dei sepolcri su incarico delle famiglie dell’estinto.
Questo incontro sarà cruciale per la vita e l’ispirazione del giovane e
ambizioso regista. Mia è una ragazza a dir poco «irrazionalizzabile» e
«irrazionalizzante» che, passeggiando tra lapidi sbilenche, angeli marmorei e
terra smossa da poco, ha elaborato un’assurda filosofia, l’«unico credo
possibile», su presunti flussi energetici che impregnano i cimiteri e possono
essere positivamente captati da chi li visita.
La morte è l’indiscussa protagonista della vita e dei pensieri di Mia, a tal
punto che un pessimismo disumano e globale giunge ad impregnare le pagine del
romanzo in questione ispirando nella Gasbarro simili affermazioni: «Non siamo
altro che carne e sangue in corsa verso l’oblio»; «Tutto è macerie […]»; «Siamo
tutti afflitti da una malattia terminale, sin dalla nascita».
Ma non è tutto: assurde teorie sull’origine dei tumori e dei terremoti e
constatazioni atee e anticlericali, degne delle peggiori esternazioni
ideologiche di Piergiorgio Odifreddi, svalutano nettamente la portata
culturale e l’equilibrio stilistico di Requiem del Dodo.
Un’analisi a parte merita invece il finale della vicenda che si apre ad una
particolare chiave interpretativa celata in filigrana e difficilmente
individuabile se non si conosce una moderna leggenda metropolitana diffusa
nella cultura angloamericana che racconta la storia nota come “autostoppista
fantasma”. Una delle tante versioni in circolazione narra che una ragazza, dopo
aver fatto l’autostop, sale a bordo di un auto indicando al conducente il luogo
di un potenziale pericolo (luogo in cui in precedenza è realmente accaduto un
incidente stradale) e facendosi poi riaccompagnare a casa (di solito
l’abitazione è situata nei pressi di un cimitero). Scendendo dalla macchina,
l’autostoppista è solita lasciare sui sedili un oggetto personale che consente
poi al conducente di risalire ad un determinato indirizzo in cui si scopre sia
vissuta una ragazza somigliante perfettamente a quella accompagnata in
precedenza e morta in un incidente stradale proprio nel luogo di potenziale
pericolo indicato dall’autostoppista.
Di questa leggenda, Requiem del Dodo mantiene tra le righe almeno
quattro tratti salienti: in primis Mattia rincontra per caso Mia dopo tanti
anni nei quali si era persa ogni traccia di lei, dopo che aveva «trascinati
tutti in un pub ad affogare nella birra la gioia per i suoi diciotto anni»
(potremmo addirittura maliziosamente ipotizzare che la ragazza sia deceduta
proprio in un incidente automobilistico avvenuto subito dopo la festa a causa
dell’ubriachezza); in secundis Mia aiuta con le sue riflessioni l’ormai fievole
vena creativa di Mattia che, una volta terminata la vicenda, deciderà di
trasformare l’esperienza vissuta nel soggetto destinato al suo film (come non
pensare in questo caso all’aiuto dell’autostoppista fantasma per far evitare un
pericolo al generoso autista che l’ha accolta a bordo); in terzo luogo anche
Mia, sebbene la cosa non sia esplicitamente detta dall’autrice, lascia a Mattia
una traccia tangibile del suo passaggio: la sciarpa celeste che nelle prime
pagine la ragazza porta al collo la si ritrova nelle ultime pagine del romanzo
addosso al giovane regista; infine Mattia si reca presso quella che Mia aveva
indicato come la sua residenza scoprendo, con sconforto, che, in realtà, da
oltre un decennio vi abita una famiglia che ignora totalmente l’esistenza della
sua amica.
In ultima analisi, Requiem del Dodo è un romanzo inquietante, strambo
sotto certi aspetti, ma degno di essere letto per via di una trama a volte
monotona, ma mai banale, che, nel finale, è riscattata dalla fusione tra realtà
e leggenda, tra vita e morte, desiderio e aiuto.
(Pubblicato su dirittodicronaca.it, Registrazione
Tribunale di Castrovillari (Cs) N. 4/09 del 02/11/2009)
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