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domenica 27 aprile 2014

"Poeti e compagnia": un viaggio nel Romanticismo tedesco

di
Mario Gaudio

Quando, nel 1834, Poeti e compagnia fu dato alle stampe, la reazione del pubblico e della critica risultò di estrema freddezza, come accade spesso per i capolavori letterari che, a differenza di tanta letteratura/spazzatura o, in maniera più educata, letteratura commerciale (vedi i vari Moccia, Faletti, E. L. James), non sono accolti a furor di popolo, ma necessitano di tempo per essere compresi e ritenuti indispensabili per il proprio bagaglio culturale. 
Del resto, come ogni classico che si rispetti, anche il romanzo di Eichendorff è, utilizzando una famosa constatazione di Calvino, «un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire», pertanto proponibile come antidoto spirituale/culturale in questi anni politicamente bui, culturalmente morti ed economicamente distruttivi. 
Joseph von Eichendorff
Certo, si tratta di un romanzo dalla trama complessa, difficilmente riassumibile, ma che tocca in profondità le corde dell’animo umano e induce ad attente riflessioni su tematiche quali la poesia, l’arte, l’amore e la vita. Siamo dunque dinanzi a pagine che affrontano argomenti universali, validi in ogni luogo e in ogni tempo e che custodiscono un distillato del più puro Romanticismo tedesco dei primi decenni dell’Ottocento.
La grandezza di Poeti e compagnia sta proprio in questo: racchiudere tutti i contenuti cari alla sensibilità romantica, ma ponendo come presupposto di base un’analisi della validità degli stessi; come direbbe Enrico De Angelis, curatore della edizione di riferimento, siamo dinanzi al «Romanticismo che giudica se stesso, nei suoi ideali e nelle sue tradizioni».
Un processo del genere potrebbe, a prima vista, sembrare alquanto tedioso per il lettore ma, con sublime maestria narrativa, Eichendorff affronta con leggerezza la materia del suo romanzo stimolando di continuo la curiositas e rilassando l’animo di chi si addentra nelle sue pagine con descrizioni paesaggistiche degne dei migliori pittori vedutisti e con il sapiente accostamento di termini capaci di far sentire a chi legge le brezze spiranti nel bosco, i cinguettii degli uccelli fra gli alberi e le folate di vento tra le mura diroccate di castelli ritenuti infestati da fantasmi.
Con estrema incisività, simile a un «portentoso mago» sognante i «tempi antichi che aveva imprigionato per incanto nei suoi cerchi silenziosi», lo scrittore tedesco penetra con sapienza e delicatezza nei recessi dell’animo umano facendovi emergere quel desiderio di libertà che solo la poesia riesce a garantire e solo il poeta è in grado di esprimere. 
Tuttavia, se l’arte della parola è al centro del romanzo uno spazio di estremo rilievo ha anche l’amore, nelle sue diverse sfumature: dalla paura di innamorarsi che porta alla fuga dalla persona amata (come accade al barone Fortunat), alla follia causata dalla passione (è il caso dell’ufficiale francese St. Val che perde il senno a causa della bellezza di Juana, novello “Orlando Furioso” senza lieto fine), sino ad arrivare all’amore malato della selvaggia contessa spagnola che allontana i suoi pretendenti ma, nello stesso tempo, teme di rimanere sola e diventa vittima di un dissidio interiore che la indurrà al suicidio.
Pagina dopo pagina, scorrono pezzi di vita dei protagonisti, perseguitati da qualcosa, ma estremamente attratti dalle loro paure: chi teme di amare si lascia sedurre, chi ama la libertà della poesia si ritrova imbrigliato nella tonaca sacerdotale (è il caso del conte Victor), chi insegue l’arte piomba nell’illusione e nella follia.
Poeti e compagnia ha altresì un retroterra ideologico molto forte, dovuto ad una miscela di legittimismo asburgico (Eichendorff era nato nella Slesia superiore, territorio prussiano, ma che manteneva intatte le caratteristiche della precedente sudditanza imperiale agli Asburgo) e cattolicesimo che si palesa in un costante attacco nei confronti del ceto impiegatizio e borghese, visto come elemento destabilizzante e distruttore di una società aristocratica antica e cristallizzata nel tempo. Ecco dunque la critica verso i funzionari della classe media che vivono in una «terribile operosità» senza avere il tempo necessario per attività quali «leggere, pensare, pregare».
Non mancano neppure le beffe che si riservano ai personaggi più sciocchi e ciò, oltre a rendere la lettura più gradevole, consente di intravedere in filigrana gli atroci scherzi a danno dei sempliciotti che abbondano nel Decameron del Boccaccio.
Insomma, siamo davanti ad un libro completo e complesso, un classico in grado di farci interrogare e, contemporaneamente, darci delle risposte, un testo essenziale per chi crede che «la terra è ancora piena di miracoli, solo che noi non vi badiamo più».


(Pubblicato su dirittodicronaca.it, Registrazione Tribunale di Castrovillari (Cs) N. 4/09 del 02/11/2009)

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