di
Mario Gaudio
L’immagine alla quale è associabile Castelli di rabbia è
senza dubbio quella del buon vino: alla maniera del prezioso nettare, le pagine
di Baricco acquistano sapore e colore con il trascorrere del tempo e, in
effetti, a più di vent’anni dalla pubblicazione (correva l’anno di grazia
1991), il romanzo in questione assume, attraverso le tematiche trattate, un
carattere deciso dinanzi ad una realtà che gradualmente si sgretola.
Lo scrittore piemontese, con abile arte narrativa, riesce a mantenere celata la
chiave di lettura del suo romanzo fino alle ultime battute per poi lasciare
attonito l’innocente lettore con una soluzione che risulta essere a dir poco
inaspettata.
Lo scrittore piemontese Alessandro Baricco |
Le vicende narrate hanno come centro propulsore la cittadina di Quinnipak,
curioso rifugio di uomini e donne le cui vite si intersecano quasi a formare
una inestricabile ragnatela all’insegna della stranezza. Nulla a Quinnipak
richiama la normalità del mondo e la quotidianità: ognuno ha il suo dèmone e la
sua storia.
I personaggi consumano le loro esistenze inseguendo inutili
sogni, portandosi addosso pesanti fardelli e rasentando (e, a volte,
oltrepassando) il delicato confine tra sanità e follia. Ecco allora una sfilata
di strambe esistenze la cui colpa è la contraddizione: la bellezza di Jun ha
come contrappasso la sua solitudine a causa dei lunghi viaggi del consorte; la
ricchezza e l’intraprendenza del signor Rail si scontrano con la fisima delle
locomotive e le lunghissime e ingiustificate assenze da casa che denotano un
chiaro rifiuto della stabilità; l’onorabilità della vedova Abegg trova il suo
inciampo in una storia inesistente e nella «impossibilità di disporre di un
felice avvenire» che la induce a costruirsi un falso e «felice passato»; il
genio musicale del signor Pekisch si disintegra nelle sue strampalate
composizioni per un altrettanto bizzarro strumento denominato “umanofono”.
In mezzo a questa varia umanità di Quinnipak si erge possente il senso del
tempo che scorre, con la necessità di numerarlo e l’altrettanto impellente
bisogno di renderlo motivo di sviluppo. L’intero romanzo risente di questa
ansia di progresso tecnico e spirituale che si concretizza nella filosofia
positivista (superba attrice non protagonista di Castelli di rabbia) e
nella costruzione delle ferrovie, speranza di una società ancora cristallizzata
e campanilistica. Non è un caso che le pagine più intense del libro di Baricco
siano effettivamente quelle nelle quali si descrive il rito «elementare e
sacro» che si è consumato per anni sulla Grand Junction, una delle prime
linee ferroviarie che collegava Londra a Dublino.
Castelli di rabbia di Alessandro Baricco |
Castelli di rabbia si presenta dunque con lo stesso fascino del Crystal
Palace, progetto folle e geniale del misterioso e sognatore Hector Horeau (la
figura indubbiamente più tragica del romanzo), in grado di far ammirare la
realtà attraverso il potere della narrazione che diventa, alla stregua del
vetro, capace di «proteggere senza imprigionare…» in modo da «stare in un posto
e poter veder ovunque, avere un tetto e vedere il cielo».
Insomma, siamo davanti ad un romanzo di spessore, tremendamente attuale, capace
di ricordarci l’immenso potere terapeutico delle storie in un mondo sempre più
caotico e sempre meno disposto ad ascoltare.
(Pubblicato su lavocedelsavuto.it, Registrazione
Tribunale di Cosenza N. 683 del 23/10/2002)
(Pubblicato su dirittodicronaca.it, Registrazione
Tribunale di Castrovillari (Cs) N. 4/09 del 02/11/2009)
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