di
Mario Gaudio
Riflettendo
sulla figura del protagonista di Primavera di bellezza mi risuonano nitide
nella mente le parole scritte da Indro Montanelli in un altro romanzo di guerra
partigiana (Il generale Della Rovere): «Quando non sai qual è la via del
dovere, scegli la più difficile».
Johnny, il ragazzo le cui avventure sono al centro di Primavera di
bellezza, segue alla lettera tale asserzione fino a pagare l’estremo tributo di
sangue.
Siamo in un momento storico particolare e travagliato: l’Italia, dopo il 25
luglio e l’arresto di Mussolini, non è più la stessa. I fascisti sembrano
essere spariti dalla circolazione e l’aria è foriera di luttuose premonizioni.
Johnny e i suoi compagni del corso allievi ufficiali vengono trasferiti da
Moana (cittadina a metà strada tra Torino e Genova) a Roma, ma l’incertezza
regna sovrana nella stessa caserma dove, nonostante i bombardamenti alleati
sulla capitale e le inutili risposte delle batterie contraeree, ci si continua
ad esercitare nella ginnastica e nella abituale vita della naja fatta di
appelli, contrappelli, camerate e superiori.
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Campo della Gioventù Italiana del Littorio |
Fenoglio ha
in questo contesto una magnifica capacità figurativa in grado di soffermarsi
sui dettagli più insignificanti per dar loro rilievo e dignità. Con la
descrizione del lezzo emanato dalle uniformi autarchiche dell’esercito italiano
o del fumo corrosivo e tossico delle Milit (all’epoca sigarette in voga presso
i soldati) o dell’aspro sapore del poco nutriente rancio Fenoglio conduce per
mano il lettore e, da esperto cicerone, gli consente quasi di vivere assieme ai
suoi personaggi la vita di caserma.
All’improvviso avviene la svolta: l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Johnny e i suoi compagni si trovano a montare la guardia ad una polveriera
situata nell’Agro Pontino e apprendono la notizia solo qualche giorno dopo da
alcuni soldati italiani sbandati, non senza aver prima rischiato la vita a causa
di un attacco da parte di un aereo tedesco.
È il panico. Il reparto abbandona il posto di guardia per rientrare in caserma,
ma qui tutto sembra essersi dissolto in un batter d’ali: gli ufficiali si sono
volatilizzati abbandonando le divise e vestendo abiti civili; gran parte degli
allievi hanno preso la via di casa a causa dello sbandamento dovuto ai
contraddittori ordini e contrordini pervenuti dai comandi centrali.
L’esercito italiano è allo sfascio e anche Johnny, in seguito ad una dolorosa
riflessione, decide di ritornare in Piemonte dopo aver faticosamente recuperato
degli abiti borghesi.
Il viaggio è un vero e proprio calvario: treni affollati all’impossibile,
mancanza di cibo e ad ogni stazione reparti tedeschi che deportano gli uomini o
li fucilano seduta stante.
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Lo scrittore Beppe Fenoglio |
Giunto in Piemonte, Johnny percorre a piedi gli ultimi chilometri che lo
separano da casa ma, avvicinato da una banda partigiana, decide di unirsi ai
rivoltosi e trova una morte gloriosa nell’attacco ad una colonna tedesca che
poco prima aveva distrutto un intero villaggio.
È la storia di un eroe, di un guerriero che, per dirla con le parole di Paulo
Coelho, «non può abbassare la testa, altrimenti perde di vista l’orizzonte dei
suoi sogni».
È, nello stesso tempo, un brillante spaccato su uno dei periodi più bui della
storia dell’esercito italiano che conduce Fenoglio ad un’amara considerazione
ripresa in un altro suo scritto (Una questione privata): «C’è da ringraziare
l’8 settembre per aver permesso all’Italia di constatare che schifo era il suo
esercito, che vergogna i suoi ufficiali, quelli con le sciabole e gli stivali,
quelli a cui dovevi cedere il passo per strada, quelli che ballavano con le
donne più belle, quelli che ridevano sotto i baffi a sentire i nostri discorsi
intellettuali. L’8 settembre è stato il giudizio. […] Ognuno ha pensato a sé, a
casa sua, a sua madre, alla puttana sua. Anch’io. È inutile contarci balle,
d’ora innanzi non potremo né dovremo contarci più balle […]». È infine la storia
dell’uomo Johnny che per la sua anglofilia, per i tratti somatici, per la lotta
partigiana, per il vizio del fumo e per l’amore della libertà somiglia
incredibilmente allo stesso Fenoglio. «Sventurato il paese che ha bisogno di
eroi» (Bertolt Brecht).
(Pubblicato su dirittodicronaca.it, Registrazione
Tribunale di Castrovillari (Cs) N. 4/09 del 02/11/2009)
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