di
Mario Gaudio
Nell’affascinante e tragico contesto della letteratura di
guerra si inserisce, in una posizione del tutto sui generis, Il generale
Della Rovere di Indro Montanelli.
Tra le righe di questo testo emerge tutta la passione e l’abilità di un inedito
Montanelli romanziere che appare in una luce ben diversa da quella di brillante
giornalista e insuperabile storico sotto la quale siamo abituati a
considerarlo.
Eccezionale è anche la genesi del breve ma intenso romanzo in questione: esso,
a differenza di quanto accade per molta letteratura neorealista, non precede un
film che porta sul grande schermo le stesse vicende narrate dal testo
letterario, ma lo segue. In effetti la pellicola Il generale Della Rovere (1959),
vincitrice del Leone d’oro a Venezia, che ebbe come regista Roberto Rossellini
e come protagonista l’indimenticabile Vittorio De Sica, nacque a partire da un
soggetto scritto dallo stesso Montanelli che, tuttavia, non corrispondeva al
romanzo in questione. Lo scrittore toscano infatti, ritenendo la lettura
scenica fatta da Rossellini «troppo di sinistra», rielaborò il tutto in modo
tale da produrre un romanzo in cui, per dirla alla maniera di Gianni Riotta,
non si contrappongono «angeli contro diavoli, ma uomini normali che combattono
per una giusta causa contro uomini altrettanto normali che combattono per una
causa malvagia».
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Il giornalista e scrittore Indro Montanelli |
Altra peculiarità de Il generale Della Rovere è la
relatività dei fatti: Montanelli, imprigionato come partigiano nelle patrie
galere, conobbe realmente un certo Giovanni Bertoni, fucilato dai tedeschi a
Fossoli nel 1944, tuttavia il fatto che questi fosse entrato a San Vittore,
sotto le mentite spoglie del generale Fortebraccio Della Rovere, a spiare per
conto dei tedeschi i prigionieri partigiani non può essere storicamente né
confermato né smentito, ma solo interpretato.
Una cosa è certa: sull’identità e sul ruolo di questo personaggio sono state
scritte centinaia di pagine che non sono riuscite affatto a far luce sul
mistero.
Il 10 febbraio 1959 Franco Robolotti, figlio del generale Giuseppe Robolotti
(vittima dell’eccidio nazista di Fossoli), scrisse una lunga lettera al Corriere
della Sera nella quale demoliva la figura eroica di Giovanni Bertoni
mettendo in evidenza che i partigiani reclusi a San Vittore lo avevano già da
tempo bollato come spia al soldo dei tedeschi.
Nel novembre dello stesso anno il giornalista Giuseppe F. Mayda avviò
un’inchiesta sulla figura di Bertoni ricostruendo i fatti in maniera
particolare: il generale Della Rovere era in realtà il capitano di fregata Jerz
Sass Kulczychy, in servizio sulla corazzata Cavour, che, dopo
l’armistizio, era stato inviato al Nord come rappresentante del Governo
Badogliano presso i partigiani. Kulczychy fu arrestato a Genova dai tedeschi
che lo sostituirono col Bertoni per carpire informazioni ai partigiani detenuti
a San Vittore. Tuttavia, una volta noto l’arresto del capitano di fregata
(fucilato anche egli a Fossoli nel 1944), Bertoni fu inutilizzabile come
delatore e dunque deportato.
I fatti quindi non sono assolutamente chiari e non è sicuramente questa la sede
opportuna per indagare ulteriormente. Lasciando gli avvenimenti storici per
passare alla letteratura è doveroso dire che il generale Fortebraccio Della
Rovere è descritto dal Montanelli come un eroe per caso.
Giovanni (Bertone nel romanzo e Bertoni nella realtà) è un truffatore di basso
rango che cerca di sbarcare il lunario estorcendo denaro ai familiari dei
partigiani imprigionati in cambio di favori e intercessioni presso le alte
sfere militari tedesche. Bertone è tuttavia smascherato dalla polizia fascista
e, per evitare la pena prescritta, è utilizzato dal colonnello Müller (personaggio
inventato dal Montanelli) per spiare i capi partigiani reclusi nel carcere
milanese di San Vittore sotto la falsa identità del generale Fortebraccio Della
Rovere (arrestato e ucciso accidentalmente dai tedeschi qualche tempo prima).
Per ironia della sorte o per una misteriosa forza che induce Bertone ad
identificarsi con il personaggio chiamato a rappresentare, il nostro
protagonista diventa l’eroe temuto e rispettato dai detenuti e, dopo la
tortura e la morte di uno di loro (il tipografo/ barbiere Banchelli), decide di
non lavorare più per conto dei nazisti. In preda ad una profonda crisi di
coscienza parla di “dovere” e “lealtà” ai prigionieri, diventando un modello
per tutti loro fino al momento della sua fucilazione a Fossoli il 12 luglio
1944.
Ciò che maggiormente colpisce del romanzo è il microcosmo creatosi a San
Vittore: qui in effetti si condividono emozioni, si confessano paure, si
rimpiangono situazioni e ci si conforta e sostiene reciprocamente.
Altra peculiarità della storia è la presenza tra i personaggi, oltre che dello
stesso Montanelli, del giovane Mike Bongiorno, il celebre presentatore
televisivo finito tra le sbarre poiché considerato colpevole di essere
cittadino americano.
Il libro di Montanelli descrive alla perfezione lo stato di confusione politica
e militare che imperversava in quei mesi, dandoci una grande lezione di umanità
e di coraggio condensata in queste parole: «Quando non sai qual è la via del
dovere, scegli la più difficile».
(Pubblicato su dirittodicronaca.it, Registrazione
Tribunale di Castrovillari (Cs) N. 4/09 del 02/11/2009)
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