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martedì 24 ottobre 2017

L'educata ironia di Giulio Andreotti

di
Mario Gaudio

Nel 1980 Giulio Andreotti, chiamato a pronunciare un discorso celebrativo per il centesimo compleanno dell’arcivescovo Alfonso Carinci, esordì con una famosa citazione di Menandro («Muor giovane colui ch’al cielo è caro») suscitando l’ilarità generale e mostrando quel sottile e invidiato senso di educata ironia che da sempre accompagnava i suoi interventi pubblici e privati.
Questo è soltanto uno degli innumerevoli esempi di uno stile espressivo che divenne, col passare degli anni, una vera e propria weltanschauung, indizio di una mente raffinata e colta capace di applicare con naturalezza e cognizione di causa l’antico adagio latino «castigat ridendo mores».
Giulio Andreotti (1919 - 2013)
Il potere logora…ma è meglio non perderlo è un’antologia delle migliori considerazioni ironiche dello statista romano che, gloria e vanto della politica nazionale, ricoprì per ben sette volte la carica di Presidente del Consiglio e per ventisette quella di ministro della Repubblica.
Al di là della brillante e prolifica carriera istituzionale, traspare dalle pagine andreottiane l’inconfondibile cultore di Cicerone a cui si affianca lo zelo dell’appassionato amante della tradizione letteraria classica.
Ogni citazione riportata ne Il potere logora…ma è meglio non perderlo gronda di esperienze di vita privata che si mescolano con le vicende politiche, le tendenze sociali e i gusti culturali del Novecento sino a diventare un elemento unico facilmente identificabile con la Storia stessa.
L’antologia ha di per sé il grande limite strutturale di riportare soltanto una minima porzione degli innumerevoli aforismi andreottiani e ciò impedisce al lettore di avere una visione globale dell’argomento, tuttavia il valore dell’opera consiste nel fatto che, attraverso le sue pagine, si ripercorrono situazioni e momenti importanti della politica italiana e della cronaca, con sferzanti considerazioni su vizi nazionali ancora non debellati: nei confronti dei tanto diffusi evasori fiscali Andreotti chiosava: «L’umiltà è una virtù stupenda. Ma non quando si esercita nella dichiarazione dei redditi»; mentre per i nuovi ricchi lo statista riservava una considerazione al vetriolo: «Vi è un genere pericoloso di numismatici: il collezionista di moneta corrente».
Il potere logora...
ma è meglio non perderlo

di Giulio Andreotti
Non mancano argute riflessioni sulla giustizia («Perché la stupenda frase “La Giustizia è uguale per tutti” è scritta alle spalle dei magistrati?»), sull’antifascismo d’occasione («L’antifascismo è come i vini. Bisogna guardare all’annata»), sugli eterni problemi della Capitale («Non attribuiamo i guai di Roma all’eccesso di popolazione. Quando i romani erano solo due, uno uccise l’altro») e sui cosiddetti «vizi minori» («Annoiato dagli ammonimenti contro l’uso del tabacco un padre rosminiano irlandese ha detto al suo superiore: “Meglio fumare su questa terra che dopo”»).
Insomma, Il potere logora…ma è meglio non perderlo è un libro da leggere, scorrevole e divertente, in grado di offrire sprazzi di luce su anni di storia e costumi d’Italia con un approfondimento sulla ancor poco studiata biografia di Giulio Andreotti che, al netto dei meriti politici, fu una miniera di aneddoti, un appassionato di cultura e un maestro indiscutibile di savoir-faire.

(Pubblicato su dirittodicronaca.it, Registrazione Tribunale di Castrovillari (Cs) N. 4/09 del 02/11/2009)

venerdì 13 ottobre 2017

"Adesso": l'amore contraffatto di Chiara Gamberale

di
Mario Gaudio

Adesso è un romanzo problematico, specchio fedele di una nuova concezione della letteratura e dell’amore che si va facendo strada nella società tecnocratica e globalizzata in cui siamo immersi.
Chi si aspetta un buon testo letterario, magari colmo di richiami alla gloriosa tradizione dei più importanti scrittori italiani, farebbe bene ad astenersi dalla lettura delle pagine di Chiara Gamberale, ma se si vuole intraprendere un percorso – accidentato – tra i meandri di una scrittura anarchica e, talvolta, presuntuosa e ripetitiva il testo dell’autrice romana diventa un passaggio quasi inevitabile.
La narrazione procede infatti in maniera confusionaria, con riprese e abbandoni di immagini e situazioni secondarie che ruotano attorno all’asse portante della vicenda amorosa di Lidia e Pietro. A questo andamento vorticoso occorre aggiungere anche una fretta di fondo che, unita ad uno spropositato affidamento al caso e agli eventi, connota non solo i protagonisti di Adesso, ma anche i vari – a tratti pittoreschi – personaggi marginali.
La logica del romanzo invita a consumare ogni opportunità della vita nell’ambito dell’«adesso», un aspetto questo che se da un lato richiama – sebbene solo superficialmente − il carpe diem oraziano dall’altro frantuma quella necessità di riflettere che, di fatto, sembra essersi dissolta nella società del consumo e della velocità. Tuttavia, la Gamberale presenta il grande limite della vaghezza: si prodiga a consigliare di vivere l’attimo senza definire il concetto di «adesso» che viene genericamente circoscritto come il tempo «fra l’infanzia e il troppo tardi».
Adesso di Chiara Gamberale
Il tema dominante è chiaramente l’amore ma, anche in questo caso, è opportuno rimarcare un netto stravolgimento nei confronti della tradizione classica e, addirittura, rispetto al canone moderno. Il sentimento raccontato dall’autrice è profondamente degradato e spogliato da qualsiasi connotazione ideale, per divenire una sorta di meccanico sfogo dopo vicende andate a male: Lidia esce da una separazione, ma intrattiene un rapporto ambiguo con l’ex marito, mentre Pietro vive il dramma di una moglie che lo ha abbandonato per seguire la vita religiosa. A ciò sono accostate le diverse debolezze psicologiche accumulate dai personaggi e, sostanzialmente, mai risolte.
Alla vicenda principale si accompagna anche una sorta di sottobosco narrativo che racchiude piccole relazioni sentimentali − di natura adulterina o comunque occasionale − che conducono ad un intreccio forzato e artificiale di personaggi dalla mentalità diversa e dal comportamento estremamente eterogeneo.
Adesso è un romanzo contraffatto, a tratti non piacevole, dalla prosa sciatta e irregolare ma, sicuramente, degno di essere letto per comprendere adeguatamente la nefasta involuzione in cui sono precipitati il più bello dei sentimenti e la produzione letteraria dei nostri giorni.
(Pubblicato su dirittodicronaca.it, Registrazione Tribunale di Castrovillari (Cs) N. 4/09 del 02/11/2009)

Veleni e illusioni di una generazione nel romanzo di Christiane F.

di
Mario Gaudio

Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino è un romanzo scomodo, inquietante sotto molti aspetti, ma capace, a distanza di anni, di far interrogare e riflettere il lettore che vi si accosta senza pregiudizio e con adeguato spirito critico.
Il libro nasce da un colloquio con Christiane Vera Felscherinow, la protagonista delle vicende, la quale racconta realisticamente la sua triste storia a due importanti giornalisti − Kai Hermann e Horst Rieck – che, ben presto, smetteranno i panni degli intervistatori per vestire quelli, stretti ma necessari, degli ascoltatori.
Le pagine scorrono con una certa rapidità, ma la bruttura e il degrado di cui è intrisa l’esistenza di una tossicomane appena adolescente inducono a lunghe e sofferte pause di riflessione.
Il tema centrale è ovviamente quello della droga, approdo velenoso e illusorio di un’esistenza sventurata che inizia per la giovane Christiane con l’incomprensione familiare e il disagio di un trasferimento. Nella Berlino ovest di fine anni Settanta, la protagonista si ritrova a vivere gli ultimi sprazzi d’infanzia tra i casermoni del quartiere popolare di Gropiusstadt e a subire le angherie di un padre prima violento e poi totalmente indifferente e anaffettivo, tipico esempio di fallimento di una figura genitoriale incapace di instaurare un dialogo costruttivo e rinchiusa in un mutismo orgoglioso e deleterio.
Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino di Christiane F.
Dinanzi a questa squallida situazione quotidiana Christiane, benché tredicenne, non trova il coraggio e l’occasione di sfogare la sua rabbia e rimane coinvolta in un circolo vizioso di amicizie che la condurranno gradualmente alla degenerazione totale attraverso l’uso di sostanze stupefacenti.
Ovviamente, una volta imboccato il mortifero tunnel dell’eroina, la giovane è costretta a confrontarsi con un mondo − parallelo a quello borghese − fatto di spaccio, furto e prostituzione con la costante ansia di sfuggire alle retate della polizia e l’onnipresente pericolo dell’overdose.
Soltanto dopo numerosi e vani tentativi di disintossicazione, falliti a causa di un ambiente sociale poco comprensivo e di una scarsa conoscenza del problema della tossicodipendenza, Christiane riuscirà, grazie alla caparbietà di sua madre, ad allontanarsi dal mondo della droga e da una Berlino − divisa e imbruttita − capace di riempire il vuoto delle coscienze soltanto attraverso gli illusori paradisi artificiali dello sballo.
Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino narra vicende di vite mancate e di esistenze stroncate negli aberranti cessi della metropolitana da iniezioni fatali considerate l’unico antidoto contro i mostri di una realtà divenuta troppo opprimente. Un libro dunque datato, ma estremamente attuale, capace di dare un impulso nuovo alle coscienze ormai assuefatte davanti al problema della droga non più considerata come distruttiva via di fuga per giovani insoddisfatti ma diventata, nel contesto della nostra società tecnocratica e globalizzata, vizio più o meno noto di calciatori strapagati, vip e rampolli di storiche famiglie italiane.

(Pubblicato su dirittodicronaca.it, Registrazione Tribunale di Castrovillari (Cs) N. 4/09 del 02/11/2009)