di
Mario Gaudio
Paolo
Giordano, con la sua laurea in fisica teorica, si inserisce sommessamente in un
filone letterario che ha tra i protagonisti indiscussi Carlo Emilio Gadda,
Mario Tobino, Carlo e Primo Levi: quello degli autori che, pur avendo una
formazione marcatamente scientifica, si affermano con successo nel mondo della
letteratura. Così accade per questo giovane torinese il cui romanzo d’esordio è
stato tradotto in più di quaranta lingue e ha vinto, nel 2008, il prestigioso
premio Strega nonché l’autorevole premio Campiello Opera Prima.
Nonostante ciò, La solitudine dei numeri primi è un romanzo
sicuramente di un certo interesse, ma non destinato a diventare un classico
della nostra letteratura a causa di certe crepe nell’impianto linguistico e
strutturale: Giordano intreccia in maniera semplicistica e prevedibile le
storie di Mattia e Alice (i due protagonisti) utilizzando un linguaggio
estremamente colloquiale, carico di banalità e quasi meccanico.
Dal punto di vista contenutistico, l’autore fonde due vicende sostanzialmente
identiche, ma questo non gli si può certo imputare dal momento che Mattia e
Alice sono simili a quei numeri che la matematica definisce «primi gemelli,
soli e perduti, vicini ma non abbastanza per sfiorarsi davvero».
Lo scrittore Paolo Giordano vincitore del Premio Strega |
Del resto,
il legame tra i due protagonisti può essere etichettato efficacemente come un
amore malato, sul cui sfondo si stagliano la colpa, la solitudine e la nevrosi.
Il disagio psicologico è in effetti la tematica che campeggia con insistenza
nelle pagine del romanzo: Mattia, per un trauma subito in gioventù e per
l’ossessionante senso di colpa, pratica gesti di autolesionismo, non tanto per
punire se stesso quanto piuttosto per avere una prova di vita dacché si tratta
di un personaggio sostanzialmente morto nell’interiorità; Alice, a causa del
pessimo rapporto con il padre, di un incidente sciistico che le ha provocato
una menomazione e del bullismo delle sue compagne di scuola, sfoga la sua
rabbia attraverso l’anoressia; Denis (l’unico amico di Mattia), per sfuggire
all’inconfessabile segreto dell’omosessualità, consuma il suo corpo e la sua
dignità nelle perversioni di un locale notturno.
È in questo quadro moralmente e mentalmente disastrato che si alternano sulla
scena del romanzo i personaggi di Giordano che non solo sono distrutti dagli
eventi ma, a loro volta, uccidono la realtà e le relazioni affettive fino a
diventare sterili figure incapaci di normalità.
La solitudine dei numeri primi è dunque il romanzo del disagio e della
psiche malata che provoca dolore ai protagonisti, ma ancor più a chi si sforza
di voler loro bene (basta pensare all’esempio dei coniugi Balossino, genitori
di Mattia) nell’illusione di guarire o nel tentativo di alleviare, con mille
amorevoli premure, le sofferenze e le crisi di questi personaggi fragili e,
nello stesso tempo, caparbi, in grado di tenere sotto scacco una realtà che
riconoscono tuttavia come estranea.
In ultima analisi, il romanzo di Giordano merita sicuramente di essere letto,
ma con la consapevolezza, acutamente delineata in un suo racconto da Luis
Sepulveda, del fatto che «una riga di meno non cambia la pelliccia della tigre,
ma una parola di troppo ammazza qualunque storia. La tristezza si risolve al
bar, mai nella letteratura».
(Pubblicato su dirittodicronaca.it, Registrazione
Tribunale di Castrovillari (Cs) N. 4/09 del 02/11/2009)
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