di
Mario Gaudio
In questi giorni di profonda crisi economica, prostituzione
politica (fatta eccezione per un piccolo spiraglio di luce che si apre, come di
consueto, in Toscana) e decadenza culturale e artistica (constatazione severa,
ma senza tema di smentita per via dei fatti a cui quotidianamente assistiamo), è
stato poco pubblicizzato o, per meglio dire al di fuori del tono diplomatico,
sottaciuto un evento di un certo spessore storico e culturale. Si tratta della
riproposizione del viaggio ferroviario compiuto da Aquileia a Roma nel 1921 dal
convoglio che trasportò le spoglie mortali del Milite ignoto. Questa antica
vicenda (sono trascorsi già novant’anni) è entrata nel patrimonio storico
italiano e mai come ora occorrerebbe trasmettere il senso di quei fatti alle
nuove generazioni.
Nell’ormai lontano 1921, la signora Maria Bergamas, madre di un soldato caduto
durante il primo conflitto mondiale il cui corpo non fu mai ritrovato, venne
convocata presso la Basilica di Aquileia per prendere parte ad una cerimonia
alquanto inquietante ma, in fondo, ricca di tenerezza. Undici bare allineate e
avvolte dal Tricolore attendevano di essere passate in rassegna dalla donna
che, ad un certo punto, si soffermò con particolare commozione su una, nella
quale ritenne custodite le spoglie del figlio. Da quel momento si sviluppò la
vicenda del Milite ignoto. La salma fu condotta a Roma su un treno, accolta con
commozione e rispetto in tutte le stazioni attraversate. Giunto nella Capitale
il Milite fu sepolto, dopo le esequie solenni, presso l’Altare della Patria e
vegliato con turni di guardia ininterrotti dagli uomini delle diverse Forze
Armate.
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Sacrario del Milite Ignoto a Roma (Altare della Patria) |
Il Milite che, per dirla con le parole del grande Jorge Luis
Borges, «oggi è un pugno di cenere e di gloria» è divenuto il simbolo di tutte
le vittime della Grande Guerra ed è, in fin dei conti, molto somigliante ai
soldati e agli ufficiali descritti da Emilio Lussu nel suo romanzo Un anno
sull’Altipiano. È questo un libro imprescindibile per capire la vita, l’opera e
le sofferenze dei circa 650mila soldati italiani che caddero per consolidare
l’unità nazionale con la conquista delle cosiddette terre irredente.
Lussu ci offre una visione globale della Grande Guerra e dei suoi protagonisti, tanto nelle fasi di eroismo quanto in quelle di fanatismo. Un anno
sull’Altipiano raccoglie infatti le memorie dello scrittore sardo che,
come ufficiale di fanteria della Brigata Sassari, prese parte alle operazioni
belliche. Ecco allora che le pagine, che tra l’altro scorrono gradevolmente per
via dello stile semplice e coinvolgente, ci presentano la vita di trincea, le
logoranti attese, gli atti di coraggio e quelli di codardia o di diserzione.
Lussu non usa mezzi termini: descrive la guerra nei suoi aspetti più sordidi
come le fucilazioni seduta stante o gli assalti alla baionetta contro un nemico
armato di mitragliatrici. Non mancano attenzioni e analisi di carattere sociale
sull’intera vicenda bellica: la Grande Guerra ha sottratto braccia ai campi, costringendo poveri contadini ad indossare il grigioverde e ad imbracciare un
fucile e ciò ha indotto anche i militari a mal sopportare tale condizione, tanto
da affermare: «Ci preferiscono affamati, assetati e disperati. Così non ci
fanno desiderare la vita. Quanto più miserabili siamo, meglio è per loro. Così,
per noi è lo stesso, che siamo morti o che siamo vivi».
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Lo scrittore sardo Emilio Lussu |
Tutto sembra gravitare attorno a due elementi: la tensione snervante che
precede l’assalto e l’uso smoderato di cognac. L’attesa comportava un
nervosismo che conduceva alcuni soldati a suicidarsi («Era codardia, coraggio,
pazzia?» si chiede Lussu), ma i nervi potevano essere placati con il cognac
considerato «l’anima del combattente di questa guerra» che «i soldati, nella
loro infinita sapienza, […] chiamano benzina».
Questo mondo descritto da Lussu è stato abitato dai nostri avi di qualche
generazione addietro di cui il Milite ignoto è il glorioso simbolo. Ecco che allora
sarebbe affascinante accompagnare ancora una volta il passaggio di quel
convoglio ferroviario, carico di onore nazionale e commozione, con la lettura di Un
anno sull’Altipiano, il libro di chi la storia non l’ha semplicemente guardata
da lontano, ma l’ha fatta con immensi sacrifici e con la consapevolezza di
dover continuare magari fino all’ultimo, estremo tributo di sangue. («Oh
venturose e care e benedette/ l’antiche età, che a morte/ per la patria correan
le genti a squadre» (Giacomo Leopardi).
(Pubblicato su dirittodicronaca.it,
Registrazione Tribunale di Castrovillari (Cs) N. 4/09 del 02/11/2009)
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